Recensione di Piera Maculotti, giornalista e critica letteraria
Cambiare il mondo, nel profondo. Pace e libertà; giustizia, gioia… Alti sogni e vasti orizzonti sotto il Sol dell’Avvenir. È la contestazione – radicale e multiforme – degli anni Sessanta ad animare “Una rivoluzione quasi perfetta” la nuova sfida narrativa – tra verità storica e fantasia – di Gaetano Cinque. Nato a Portici (Napoli), bresciano da decenni, già dirigente scolastico e oggi scrittore a tempo pieno, l’autore è qui mosso dal suo ardente e inquieto (vulcanico?) spirito flegreo a riattraversare le giovanili passioni. Un po’ “esame di coscienza”, un po’ libera invenzione, il libro ripercorre l’avventura – personale e collettiva – di allora attraverso i passi, e i palpiti, del protagonista: Paolo S., prestante e pensoso settantenne pensionato, irriducibile nella sua perenne ricerca di senso. Dubbi, riflessioni; incontri, anche nuovi e stimolanti; l’amore sconfinato per il cane Argo, fedele e partecipe “uditore” dei suoi dialoghi e ricordi. Urgenti ora dopo l’ennesima crisi: Adele, la giovane (terza) moglie se ne va; già l’aveva fatto Laura, la bellissima, sensuale e borghese (seconda) consorte. Strappi; ardue scelte. Anche con Martina, appassionata compagna di letto e di lotte, giovane (prima) sposa, rivoluzionaria paladina della “coppia unita per la vita dove pubblico e privato rappresentano lo stesso impegno etico”. Patos, ed Eros. Tensione ideale e vitale… Fin dalla verde età, Paolo è uomo in rivolta, contestatore d’ogni gabbia gerarchica: dall’università alla caserma (odioso “sistema totalizzante”) alla vecchia scuola di classe. Accesi dibattiti. Incontri (erotici, anche). Scontri, ideologici ma non solo; spesso cruenti. E in piazza Loggia, la strage (lì finisce l’età dell’innocenza!) Il buio della Violenza. Tanta, troppa. È il cruccio di Paolo, convinto pacifista, socialista, cristiano. Innamorato dell’umanità di Gesù e della sua predicazione: “la più meravigliosa strategia politica di ogni epoca”. Lo sa da sempre; ma ora vuole approfondire e osa la sfida: scrivere un romanzo – politico, religioso – su Gesù e la sua “rivoluzione perfetta ”. “Quasi ” sempre irraggiungibile, eppure – dice tra le righe Gaetano Cinque – vitalissima utopia, meta cui tendere, coltivando nel cuore fede e passione.
Recensione del romanzo “Una rivoluzione quasi perfetta”.
“UN ROMANZO IN CUI SI MUOVE PASSIONALE E INQUIETA
L’ANIMA DI PAOLO S., IL PROTAGONISTA CHE VUOLE FARE I CONTI COL SUO PASSATO”
di Carla Rosco, poetessa e giornalista.
Dunque un romanzo in cui si muove passionale e inquieta l’anima di Paolo S., il protagonista, che giunto ai settanta fa i conti con il suo passato ideologico ed esistenziale.
Inquieta anche perché ambisce a grandi e importanti cose: rivoluzionare il mondo che gli è capitato, condividere questo impegno con altri poiché da soli non si può. Dovunque egli capiti, esercito, scuola, vita sentimentale, l’imperativo è: cambiare e lottare contro i luoghi comuni e la violenza capitalistica e borghese. Ma è costretto a fare i conti con un potere che ha lame ben affilate e tanti anni di esperienza nel sottomettere e nel mentire.
Fare una rivoluzione non violenta, quindi perfetta, è possibile?
Paolo S. evoca la figura di Gesù come guida spirituale per il viaggio alla scoperta di un modo non violento di vivere: il suo messaggio resta come faro nella notte buia che ancora stiamo vivendo.
Amare, amare liberamente con l’anima ma anche con il corpo: “La libertà dei sentimenti e la gioia della sessualità sono i primi fondamenti della non violenza” e ancora “Sesso e politica, eros e pensiero filosofico vanno insieme. Fu Platone che per primo pose in termini chiari la questione”.
Paolo S. si impegna a praticare intensamente la propria libertà sessuale – che ci viene raccontata con dovizia di particolari – e sempre cerca di confrontarsi con la possibilità di trasformare la vita sociale da campo di battaglia in un campo verde di pace e armonia, tra i sessi, tra le persone.
Un raccontare ed esplorare vivido come è nello stile dell’autore, che alla fine si confessa deluso dalla politica, dalla Storia attraverso le parole del protagonista.
Uno scrittore “senza guinzaglio” Gaetano Cinque. La metafora, straripante nel libro, sta per: non esageriamo con le regole, soprattutto quelle rigide e asfissianti.
Esiste una capacità di autoregolazione che in genere nell’educazione che si riceve – uomini e animali con guinzaglio – viene oscurata, non considerata.
E una capacità di gioire, di vivere a pieno, che di per sé aiuta a far bene, a non danneggiare se stessi e gli altri.
Argomento complesso che Cinque affronta in modo dialettico, ironico e leggero, servendosi di vari personaggi per dare corpo alle visioni diverse, ai diversi mondi emotivi.
Certo alcuni concetti che sono a monte del discorso – libertà, rapporto uomini-animali, eros, dialettica ragione-follia – sono quanto mai impegnativi, da capogiro.
Ma al di là di queste importanti questioni, sulle quali c’è consapevolezza e condivisione con chi legge, si sta proprio bene con il narratore, il cui piacere di scrivere è evidente. Si potrebbe paragonarlo al piacere di vivere del cucciolo Teddy, cane vivacissimo e molto affettuoso, sguinzagliato a curiosare dovunque, a ricordarci che siamo troppo imbrigliati nei movimenti fisici e mentali.
Il cuore della storia è infatti Teddy, cucciolo amato e “viziato” secondo una certa visione dell’educazione canina; secondo il protagonista Riccardo, ad essere viziata è l’aria che si respira in una cultura dominata dal controllo eccessivo, dal perbenismo che produce grigiore e depressioni varie.
Riccardo si ribella, vuole rompere con luoghi comuni e pregiudizi, vuole conoscere il suo cane e, attraverso lui, se stesso: “Via, corri amico mio. Ecco la spiaggia … Insegui pure i gabbiani, che a stormi si alzano dal bagnasciuga, appena ti sentono arrivare, annusa le loro orme, scopri un mondo marino misterioso e ricco di vita”.
E ancora: “Non ci sarà nessun Catone a censurare la mia gioia infinita, provocata da un cane che esprime un io grandissimo in un corpo piccolo!”
Secondo una sua consuetudine, anche qui l’autore si avvale di illustri pensatori citandoli in alcuni passaggi, da Erasmo da Rotterdam (Elogio della follia) a Konrad (E l’uomo incontrò il cane) a C. Foster (L’animale che è in noi).
Ormai si sa: la scrittura di Gaetano Cinque è un fiume in piena e, se ci entri, fai fatica ad uscirne. Se poi è il discorso sull’eros il cuore pulsante del romanzo, dal fiume si esce solo alla foce.
Confesso però che quando vengono ricostruite vite che appartengono alla storia – ed anche al mito – all’inizio sono disturbata dal non poter sapere cosa è documentato e cosa no, poi come per “Il romanzo di Diotima” mi lascio prendere dal fluire delle parole e del racconto. In questo caso anche dal rilievo che viene dato a Aspasia e Diotima, due donne consapevoli e battagliere, la cui esistenza è sospesa tra storia e letteratura filosofica.
Cinque immagina che sia Diotima a scrivere a Lesbo la sua autobiografia: “Per me la vita è letteratura: non sarò del tutto fedele a come realmente ho vissuto … Saffo sarà la mia guida per questo viaggio fantastico e immaginativo”.
Fra le due donne c’è molta attrazione, ma anche un confronto serrato sui grandi temi che nella Grecia di Pericle sono dibattuti da politici e filosofi; non sempre sono d’accordo fra di loro: Aspasia sta con Pericle e come lui pensa che ci siano guerre necessarie, la sacerdotessa e profetessa Diotima ritiene che “Eros disegna il nuovo futuro dei popoli, non Marte. Eros vuol dire sapere, cultura e scienza”. E ancora: “Non ammazzare i tuoi simili e gli altri animali. Rispetta la vita”.
Il libro ci offre un’ampia panoramica sugli scambi intellettuali tra Aspasia, Diotima, Pericle, Socrate, Anassagora, e altri che di volta in volta si trovano ad intervenire, nel tentativo di capire cosa è meglio fare perché la democrazia ateniese possa consolidarsi ed essere un faro nel presente e nel futuro.
Diotima è profondamente erotica e pacifista e a lei così si rivolge Socrate: “Ti posso assicurare, Diotima, che la nonviolenza sarà per sempre il mio credo esistenziale. Il mio caposaldo filosofico è l’esercizio della tolleranza, basata sul non arrecare mai danni agli altri. Tu mi conforti in questa mia convinzione, e penso che la tua ricerca sul vero eros consista in questa dimensione di pacifica convivenza”.
Dopo anni di vita intensa, ricca di eventi e di persone, la situazione ad Atene degenera, e il romanzo si chiude con la morte di Socrate e l’esilio volontario di Diotima a Lesbo.
Nella lettura del "Convivio" di Platone mi ha particolarmente affascinato la figura di Diotima. Affidare ad una donna il tema dell’eros, quale esperta e convinta maestra in cose d’amore, l’ho giudicata sul piano letterario una scelta rivoluzionaria da parte del filosofo greco. Sicuramente non facile, visto che all’inizio del dialogo viene allontanata la suonatrice di flauto, da poco entrata, quando Erissimaco propone che tutti i convitati facciano a turno un elogio di Eros, in occasione della cena di festeggiamento del successo di Agatone, ottenuto con la rappresentazione di una sua tragedia (nel 416 a. C.).
La donna greca vive di fatto separata dal mondo maschile, non può prendere parte alle cose dei maschi, come la speculazione filosofica o la politica. Quindi la suonatrice di flauto vada a suonare il flauto per conto suo, o per le donne di casa, se vuole. E i maschi del convivio passino insieme il tempo discorrendo.
Il tema dell’amore appartiene ai maschi, le donne sono solo succube dell’eros maschile. E invece Platone, quando si tratta di tirare la somma delle cose dette su Eros, di fare, come si suol dire, sintesi, cosa fa? Affida, attraverso la testimonianza di Socrate, l’autorità della verità ad una donna: a Diotima.
Certo solo la condizione di sacerdotessa e di esperta di divinazione faceva acquisire ad una donna greca potere e rilevanza sociale, ma in campo filosofico ancora non c’era stata questa rottura con la tradizione maschilista. E Diotima appare veramente un’eroina della sapienza filosofica. Volutamente viene ricordata nella sua funzione sacerdotale, quando riuscì ad allontanare momentaneamente la peste da Atene, ma poi la sua figura acquista una rilevanza tale che ha un impatto emotivo forte su un Socrate impacciato nelle cose d’amore.
Si è parlato di una tecnica letteraria di Platone basata sulle maschere che devono permettere al filosofo di esprimersi e dire la sua verità speculativa. Ma la scelta tecnica in letteratura non è mai casuale.
Allora pur nella finzione letteraria mi è piaciuto avventurarmi nell’indagine del profilo di questa donna straordinaria. L’ho voluta vedere immersa nella cultura e nella politica del tempo. Ho approfondito le altre donne del periodo. Alcune contemporanee come Aspasia, altre di epoca precedente a quella in cui poteva aver vissuto Diotima.
Poi mi sono detto che forse in tutta la storia letteraria mai si è data questa possibilità per giocare un percorso frammisto di immaginazione e di storia.
Allora mi sono costruito una trama che doveva recuperare altri personaggi femminili quale Saffo e Aspasia stessa. Anche se alcuni ritengono che forse il personaggio di Diotima da parte di Platone derivasse da un’identificazione con Aspasia stessa, ho preferito muovermi delineando figure autonome fornite di un proprio carattere, mentre Diotima assume il ruolo di donna straordinaria e innovatrice.
Rivoluzionaria in un’epoca che effettivamente è stata eclatante per i grandi mutamenti di sviluppo culturale, artistico e civile.
E così è iniziata la mia opera di immaginazione letteraria, ma ad ogni passaggio narrativo importante mi sono misurato con i dati storici in un confronto serrato.
Ho evitato di farmi inghiottire dalle preoccupazioni cronologiche.
Ho preferito la coerenza dei rapporti e l’esplosione dei temi più scottanti del periodo storico esaminato, che comunque alla fine del romanzo ho documentato con un’approfondita cronologia.
Così è nato “Il romanzo di Diotima”, uno spazio libero nella tradizione letteraria e un grande spunto offerto da Platone col suo Convivio.
La letteratura è una grande opportunità che bisogna saper cogliere e Diotima è stata per me la più bella avventura attorno ai temi che mi stanno a cuore: l’eros sorprendente e divino, la speculazione filosofica e la paideia, la lotta all’ingiustizia, all’ignoranza, alla superstizione, l’amore per la bellezza, la gioia della vita, il pacifismo.
Diotima è veramente un abbaglio di verità in un mondo ottuso e lugubre, violento e bigotto.
Il romanzo “Tess, amica mia” è diviso in due parti. La prima descrive la conversione di un io narrante che da un’avversione verso i cani passa ad un atteggiamento di estremo amore e il cucciolo di Golden retriever acquistato presso un allevamento vicino a Verona per far felice la sua donna diventa per il narratore l’emblema della gioia e dell’amicizia più schietta. E così il rapporto con l’animale rappresenta una grande occasione di scoperta dei valori più genuini e semplici della vita sensibile.
Nella seconda parte invece è il cane che parla. Il narratore presta la parola alla sua amica Tess, che così ha la possibilità di esprimere il suo punto di vista sulla coppia di umani con cui vive e più in generale su tutti gli esseri umani.
Il romanzo quindi offre lo spunto per approfondire aspetti della vita in senso generale, nella quale appare sempre più necessario superare barriere e divisioni tra gli esseri viventi. Il romanzo è anche un inno alla felicità dei sensi, alla fedeltà nell’amicizia e nelle relazioni tra mondo umano e canino.
Con il riferimento al “De amicitia” di Cicerone, infine, l’autore intende sostenere che se non c’è il superamento di differenze nei rapporti tra viventi, mai ci potrà essere vera amicizia, ma solo espressione di potere e di supremazia.
"Padre e figlio" potrebbe essere definito un racconto sul Tempo. Il Tempo è una categoria soprattutto mentale di difficile definizione, è tutta dentro ciascuno di noi e del tutto soggettiva. Eppure una sola cosa ci accomuna: la percezione di precarietà della vita. Sembra che dal momento in cui ci apriamo alla vita, tutto sia destinato a correre in avanti, inesorabilmente, verso un abisso, di cui non sappiamo nulla.
Vorremmo fermare questa corsa pazzesca, vorremmo sostare e attendere, ma cosa?
Ci resta la speranza di qualcosa di perenne.
Che cosa può essere? A cosa ci potremmo aggrappare? Creiamo illusioni, sogniamo mondi impossibili.
Tuttavia ciascuno di noi aspira a questo qualcosa, che dovrà pur accadere. E se non a noi, potrà accadere ai nostri figli!
Ecco allora, è lì il segreto, nel padre che genera per sperare nel futuro.
Si ama una donna per mettere al mondo un figlio, perché il figlio deve garantirci il futuro. E nel futuro noi possiamo esercitare l’attesa. Perché tutta la vita, come in maniera incisiva ha detto Pessoa, è solo attesa, lunga o breve che sia. Il figlio ci garantisce la sua eternità.
Ma sarà così?
Perché ciò accada, il figlio deve corrispondere alle nostre aspettative. Sarà il figlio la nostra stessa impronta vitale? O anche questa è una pura illusione e ci rendiamo conto che è tutto inutile, una speranza di eternità che non si avvererà mai?
Il figlio potrà a sua volta attendere.
Pure questo succede: non è solo il vecchio che spinge in avanti il suo tempo, perché la speranza sta svanendo. Anche il giovane, il figlio, nella sua inesperienza e con le sue contraddizioni per una vita che pulsa, si pone in attesa.
Sarà l’attesa per un padre che è svanito dall’orizzonte del suo presente, perché non si è capito che la vita va vissuta sul momento e l’amore va esercitato nel presente.
Ma i figli a volte sono ottenebrati dalle loro ossessioni e non resta che soccombere all’inevitabile che è e resta un “attendere”.
Si cercano pretesti per illudersi che la realtà sia diversa.
Si cercano corrispondenze che nella vita crediamo di cogliere e non sono altro che proiezioni di un nostro mondo interiore tormentato.
La nostra proiezione ci inganna, e gridiamo all’imbroglio per ciò che è solo frutto di nostri turbamenti.
Il racconto alla fine vuole anche dirci che la carenza della comunicazione interumana, l’assenza di capacità di ascolto, creano situazioni estreme, per cui ci convinciamo definitivamente che grazie alle nostre illusioni le attese ci sono utili per riempire quel vuoto che ci portiamo dentro e che noi stessi abbiamo prodotto, chiudendoci alla bellezza di relazione con chi ci sta accanto.
Attraverso una cornice narrativa fantastica, che segue lo sviluppo della sofferenza creativa di Virgilio alle prese con il potere politico per il suo progetto epico, il romanzo narra la vicenda di una coppia di sposi a partire dai tragici giorni del bombardamento di Trieste nel 1944 fino ai giorni nostri. L’intreccio dei piani narrativi (la vicenda del troiano Enea, vissuta nella genesi creativa del Poeta, la ricerca di stabilità ed equilibrio della coppia, colta nella completezza del suo ciclo vitale, la ricostruzione dell’Italia postbellica con tutti gli sviluppi politici ed economici dei decenni successivi) permette una rappresentazione della vita umana nelle sue perenni domande di felicità e di senso sia a livello individuale che di società.
Il racconto si sviluppa attraverso tre grandi periodi cronologici così definiti: Gli anni della distruzione – Gli anni della speranza – Gli anni della crisi.
Dai manoscritti emergono temi legati a correnti di pensiero degli anni Sessanta e a suggestioni letterarie che avevano caratterizzato le varie avanguardie e sperimentazioni stilistiche e formali: nichilismo, esistenzialismo, surrealismo. Dominante è il tema dell’eros e dei rapporti di genere. Ma è l’insieme di un disagio esistenziale, di una noia e inadeguatezza persistenti a connotare una scrittura, che risulta interessante sia per il valore documentale di un’epoca sia per gli intrecci narrativi dei vari generi proposti: drammi, racconti, diario, poesie. È un’antologia di scritti che potranno coinvolgere anche i lettori di oggi non solo perché rappresentano la voce diretta ed originale di anni molto importanti (1963 – 1971), ma anche perché testimoniano un percorso formativo ed espressivo che vuole essere paradigma universale di un itinerario giovanile di ricerca dei significati di ciò che accade all’uomo e dall’uomo stesso provocato, spesso in maniera paradossale e inaspettata.
Ed ecco allora che lo scandalo non è più tanto nei contenuti narrativi proposti, nelle scelte linguistiche e di stile, bensì in quel coacervo di sentimenti, idee, pulsioni, che non riescono a trovare sintesi e azione propositiva di cambiamento e di miglioramento di un mondo, che sembra essere precipitato nei meandri oscuri di un’umanità, che ha smarrito ideali e speranze. E Schiele, posto quale copertina del libro con il suo dipinto del 1913 Amicizia, vuole essere una chiave di lettura di testi fortemente connotati di fisicità e di desiderio di riscatto.
Il testo, attraverso le sette parti di cui è composto, "il prologo" (presentazione delle ragioni dello scrivere di scuola), "un modello interpretativo" (definizione di paradigmi di lettura di alcuni fenomeni scolastici), "memorie scolastiche" (un percorso storico che affonda i suoi inizi negli anni Sessanta), "l’insegnante in cattedra" (un quadro coraggioso dell’insegnamento a partire dagli anni Settanta), "il preside" (la scuola come organizzazione, espressione alta della riforma introdotta dall’autonomia scolastica), "un’idea di scuola per il futuro" (quali le possibili prospettive per il futuro della scuola), "appendice" (il saluto del preside ai suoi insegnanti nel momento del suo pensionamento), intende delineare un processo storico della scuola, che fa intravedere, attraverso le varie forme in cui si esprime, un filo rosso che lega la scuola ad una grande idea di Utopia, intesa come profonda aspirazione ad un mondo migliore da prefigurare nell’educazione delle giovani generazioni.
L’opera è divisa in più parti: la prima definita "l’archivio di mia madre" dà conto di come l’autore del libro sia venuto in possesso delle lettere, che erano state conservate gelosamente dalla protagonista femminile della storia d’amore; la seconda parte, suddivisa a sua volta per ciascun anno di invio delle lettere, assume dei titoli che sintetizzano come si sviluppa il rapporto: "l’innamoramento", "la promessa" ovvero "l’attesa", "la riconciliazione", "il matrimonio"; la terza parte, definita "appendice", riporta alcune lettere, presenti sempre nell’archivio, scritte dalla fidanzata e da parenti; la quarta e ultima parte dal titolo "l’epistolario, note di filologia testuale", vuole essere un breve saggio sul senso di tutta l’operazione messa in cantiere dall’autore: perché pubblicare delle lettere private in una funzione narrativa e letteraria. Ciascuna lettera è preceduta sempre da un commento che vuole essere la voce narrante della storia, che è direttamente rappresentata dai protagonisti. Possiamo dire che è l’edizione critica di un epistolario privato. È applicare il metodo critico letterario ad un testo che non nasce come opera narrativa per essere divulgata, bensì destinata a dissolversi, come mille altri atti della vita quotidiana, se non c’è l’intenzione di strappare alla caducità del tempo gesti di memoria personale. Una piccola documentazione fotografica e una breve bibliografia chiudono l’opera che può essere definita epistolario d’amore, oppure breve saggio documentale sulla narrativa postmoderna.
È possibile vivere nello stesso tempo più vite senza che tra loro ci sia alcuna interferenza? Fatta una scelta tra le tante che si presentano nella vita, quelle escluse sono definitivamente perse o è possibile un loro recupero? È ciò che si chiede ossessivamente Paolo, il protagonista di questo romanzo, che oscilla tra presente e passato per la definizione di un futuro, che appare sempre più incontrollabile. E questa sua ricerca lo porta a perdere la sua donna, di cui scopre, solo al momento dell’abbandono, di esserne fortemente innamorato. La vicenda si svolge nella terra flegrea, a Nord di Napoli, dove la coppia decide di trascorrere la solita vacanza estiva in maniera diversa, definendo degli itinerari comuni per comprendere un passato vissuto separatamente. Ma presto nascono incomprensioni e quello che doveva essere un periodo di arricchimento della vita di coppia diventa lacerazione e sofferenza. Aprire al passato significa per Paolo penetrare nei risvolti più reconditi dell’animo dell’uomo, è metterne a nudo la sua vera natura, caratterizzata dalla ricerca del piacere e della seduzione in qualsiasi condizione si venga a trovare. Scopre che il godimento della sensualità dei corpi è alla base dei comportamenti umani in ogni tempo. E i Campi Flegrei, che sembrano essere il luogo ideale per questa esplosione dei sensi e del piacere fisico, essendo una terra magmatica e in continuo fermento, offrono itinerari di ricerca non solo nel presente, ma anche nel passato più lontano, come quello di Roma Imperiale. E allora le storie s’intrecciano. La vicenda di Paolo e di Martina si confonde con l’infelice amore di Petronio per Agrippina, uccisa dal figlio Nerone o con la metamorfosi di Lucio nel racconto di Apuleio. Romanzo visionario, che pone domande importanti sul nostro vivere, un romanzo indicato per il terzo millennio dopo Cristo, in quanto nulla è garantito per sempre, i tempi si dilatano, e tutto incombe come su un eterno presente senza mai la certezza di un profilo condiviso per una scelta definitiva. Un prologo, dal titolo emblematico “Paradigma flegreo”, guida alla comprensione del contesto geografico rispetto all’immaginazione letteraria dell’autore.
Diario minimo…può considerarsi un vero e proprio manuale, una guida mentale e psicologica, ma anche decisamente tecnica e strumentale per aspiranti scrittori, per coloro che, volendo pubblicare un loro primo testo, assumono la dicitura “esordienti”.
E proprio perché questa definizione resta in molti casi indelebile, quasi un marchio, il testo intende apportare qualche chiarimento su un mondo che ai neofiti risulta veramente incomprensibile.
Innanzitutto dibattendo qual è il rapporto tra scrittura e letteratura. E soprattutto cosa succede se uno scrittore esordiente decide di non seguire mode e mercato, editoria di successo e concorsi nazionali.
Fare un’autoanalisi della propria vena narrativa, ricercare i motivi che sono alla base di progetti letterari e rappresentarli con le motivazioni immediate e sincere, diventa istruttivo e di grande aiuto per chi inizia a misurarsi con il proprio io creativo.
Il testo quindi si offre come manifesto programmatico per chi resterà ai margini della grande editoria. Essere autori minori non vuol dire però essere poco significativi, anzi!
Il più acuto interprete del sentimento di marginalità è stato un grande della letteratura mondiale: il portoghese Fernando Pessoa, il cui pensiero rivive nell’ultima parte del Diario minimo…
Il romanzo Una sana follia (Giovane Holden edizioni, aprile 2018) si presta a due piani di lettura: il primo è quello esterno, di superficie, e riguarda un’argomentazione molto diffusa su come agire quando si decide di aver con sé un cane, o preso al canile o acquistato ad un allevamento. Ci sono nel romanzo tutti i temi molto sentiti e dibattuti circa l’educazione/addestramento del cucciolo, quelli concernenti il tipo di relazione che si intende avviare col proprio animale, e i doveri a cui siamo tenuti una volta assunto l’impegno del cane.
È questa un’analisi molto variegata e viene espressa in molti punti di vista, anche se poi si concretizza in una diatriba radicale basata sul simbolo del guinzaglio, che rappresenta l’adesione o meno ad una libertà assoluta del cane!
L’altra lettura più profonda del romanzo riguarda invece temi filosofici ed esistenziali circa la felicità di ogni essere vivente e il percorso cognitivo verso la verità del sapere.
La follia, così come descritta da Erasmo da Rotterdam, alla fine rappresenta un percorso di autoconsapevolezza e i sensi, spesso denigrati come fuorvianti dalla conoscenza intellettiva, riacquistano la dignità di un sapere vitale.
Il conflitto tra i due protagonisti, Riccardo ed Elisabetta, è l’eterno dilemma tra razionalità e istinto, tra rigoroso rispetto delle regole e gioiosa intraprendenza sollecitata dal nostro istinto primigenio, che ci fa animali tra animali.
E la conclusione è che possiamo sperare in un miglioramento dei rapporti umani proprio quando si stabiliscono autentici rapporti con un animale non umano.
Avendo notato solo ora il commento di un lettore al mio romanzo mi sembra opportuno rispondere .
"Una rivoluzione quasi perfetta" è un romanzo che ha una pretesa letteraria, che vuol dire cimentarsi con una scrittura che miri a penetrare nei cuori e nella psiche dei personaggi. Diversamente avrei scritto un saggio, ben documentato e con una dotta bibliografia.
Vita privata e sesso si misurano con i grandi ideali e mettono a nudo le mille meschinità, anche di chi ha avuto aspirazioni rivoluzionarie e progetti per profondi cambiamenti politici.
Già a partire da Gesù e dal suo grande messaggio rivoluzionario delle Beatitudini il protagonista si scontra con un’umanità piena di contraddizioni e di limiti, ma sempre alla ricerca di una salvezza…
Certo la descrizione di scene erotiche, giudicate eccessive, può infastidire la sensibilità di un lettore poco disponibile a coglierne il significato narrativo. Ma questa ossessione del protagonista è l’altra faccia, quella più nascosta della violenza privata, che si annida anche nei rapporti più intimi, personali, inconfessabili, anche se a volte è l’unica arma contro il potere.
È probabile che non siamo abituati a guardarci dentro. Cerchiamo la violenza sempre fuori, negli altri!
Ma spesso la violenza è dentro di noi, inconfessabile. E Paolo S., l’insofferente protagonista di "Una rivoluzione quasi perfetta", cerca di esternarla, di coglierne la dimensione più misteriosa.
Solo chi ha vissuto veramente il clima libertario del Sessantotto può rendersi conto di come fu importante la piena rottura della cappa di bigottismo che purtroppo è tornato imperante ai giorni d’oggi.
Vedere nel sesso ancora il male o la sozzura, che inquina la memoria di piazza Loggia è inaccettabile, perché ciò che viene dopo è la fine di un’illusione, la fine dell’età dell’innocenza, la fine di un’ingenuità.
Solo un lettore poco attento può confondere i piani narrativi, definendo sozzura la svolta ideologica, culturale e personale che si trova ad affrontare il protagonista, che matura l’impossibilità di una prospettiva per il suo progetto di un romanzo su Gesù.
Tutto questo il mio sconosciuto lettore poteva approfondire e magari ancora confutare se solo avesse avuto meno fastidio e fosse venuto all’incontro con l’autore, con cui interagire.
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R: Una rivoluzione quasi perfetta - Gaetano Cinque
“Una rivoluzione quasi perfetta”
Recensione di Piera Maculotti, giornalista e critica letteraria
Cambiare il mondo, nel profondo. Pace e libertà; giustizia, gioia… Alti sogni e vasti orizzonti sotto il Sol dell’Avvenir. È la contestazione – radicale e multiforme – degli anni Sessanta ad animare “Una rivoluzione quasi perfetta” la nuova sfida narrativa – tra verità storica e fantasia – di Gaetano Cinque. Nato a Portici (Napoli), bresciano da decenni, già dirigente scolastico e oggi scrittore a tempo pieno, l’autore è qui mosso dal suo ardente e inquieto (vulcanico?) spirito flegreo a riattraversare le giovanili passioni. Un po’ “esame di coscienza”, un po’ libera invenzione, il libro ripercorre l’avventura – personale e collettiva – di allora attraverso i passi, e i palpiti, del protagonista: Paolo S., prestante e pensoso settantenne pensionato, irriducibile nella sua perenne ricerca di senso. Dubbi, riflessioni; incontri, anche nuovi e stimolanti; l’amore sconfinato per il cane Argo, fedele e partecipe “uditore” dei suoi dialoghi e ricordi. Urgenti ora dopo l’ennesima crisi: Adele, la giovane (terza) moglie se ne va; già l’aveva fatto Laura, la bellissima, sensuale e borghese (seconda) consorte. Strappi; ardue scelte. Anche con Martina, appassionata compagna di letto e di lotte, giovane (prima) sposa, rivoluzionaria paladina della “coppia unita per la vita dove pubblico e privato rappresentano lo stesso impegno etico”. Patos, ed Eros. Tensione ideale e vitale… Fin dalla verde età, Paolo è uomo in rivolta, contestatore d’ogni gabbia gerarchica: dall’università alla caserma (odioso “sistema totalizzante”) alla vecchia scuola di classe. Accesi dibattiti. Incontri (erotici, anche). Scontri, ideologici ma non solo; spesso cruenti. E in piazza Loggia, la strage (lì finisce l’età dell’innocenza!) Il buio della Violenza. Tanta, troppa. È il cruccio di Paolo, convinto pacifista, socialista, cristiano. Innamorato dell’umanità di Gesù e della sua predicazione: “la più meravigliosa strategia politica di ogni epoca”. Lo sa da sempre; ma ora vuole approfondire e osa la sfida: scrivere un romanzo – politico, religioso – su Gesù e la sua “rivoluzione perfetta ”. “Quasi ” sempre irraggiungibile, eppure – dice tra le righe Gaetano Cinque – vitalissima utopia, meta cui tendere, coltivando nel cuore fede e passione.
(Bresciaoggi, 1 febbraio 2018)
R: Una rivoluzione quasi perfetta - Gaetano Cinque
Recensione del romanzo “Una rivoluzione quasi perfetta”.
“UN ROMANZO IN CUI SI MUOVE PASSIONALE E INQUIETA
L’ANIMA DI PAOLO S., IL PROTAGONISTA CHE VUOLE FARE I CONTI COL SUO PASSATO”
di Carla Rosco, poetessa e giornalista.
Dunque un romanzo in cui si muove passionale e inquieta l’anima di Paolo S., il protagonista, che giunto ai settanta fa i conti con il suo passato ideologico ed esistenziale.
Inquieta anche perché ambisce a grandi e importanti cose: rivoluzionare il mondo che gli è capitato, condividere questo impegno con altri poiché da soli non si può. Dovunque egli capiti, esercito, scuola, vita sentimentale, l’imperativo è: cambiare e lottare contro i luoghi comuni e la violenza capitalistica e borghese. Ma è costretto a fare i conti con un potere che ha lame ben affilate e tanti anni di esperienza nel sottomettere e nel mentire.
Fare una rivoluzione non violenta, quindi perfetta, è possibile?
Paolo S. evoca la figura di Gesù come guida spirituale per il viaggio alla scoperta di un modo non violento di vivere: il suo messaggio resta come faro nella notte buia che ancora stiamo vivendo.
Amare, amare liberamente con l’anima ma anche con il corpo: “La libertà dei sentimenti e la gioia della sessualità sono i primi fondamenti della non violenza” e ancora “Sesso e politica, eros e pensiero filosofico vanno insieme. Fu Platone che per primo pose in termini chiari la questione”.
Paolo S. si impegna a praticare intensamente la propria libertà sessuale – che ci viene raccontata con dovizia di particolari – e sempre cerca di confrontarsi con la possibilità di trasformare la vita sociale da campo di battaglia in un campo verde di pace e armonia, tra i sessi, tra le persone.
Un raccontare ed esplorare vivido come è nello stile dell’autore, che alla fine si confessa deluso dalla politica, dalla Storia attraverso le parole del protagonista.
R: Una sana follia - Gaetano Cinque
“Una sana follia”
Recensione di Carla Rosco*
Uno scrittore “senza guinzaglio” Gaetano Cinque. La metafora, straripante nel libro, sta per: non esageriamo con le regole, soprattutto quelle rigide e asfissianti.
Esiste una capacità di autoregolazione che in genere nell’educazione che si riceve – uomini e animali con guinzaglio – viene oscurata, non considerata.
E una capacità di gioire, di vivere a pieno, che di per sé aiuta a far bene, a non danneggiare se stessi e gli altri.
Argomento complesso che Cinque affronta in modo dialettico, ironico e leggero, servendosi di vari personaggi per dare corpo alle visioni diverse, ai diversi mondi emotivi.
Certo alcuni concetti che sono a monte del discorso – libertà, rapporto uomini-animali, eros, dialettica ragione-follia – sono quanto mai impegnativi, da capogiro.
Ma al di là di queste importanti questioni, sulle quali c’è consapevolezza e condivisione con chi legge, si sta proprio bene con il narratore, il cui piacere di scrivere è evidente. Si potrebbe paragonarlo al piacere di vivere del cucciolo Teddy, cane vivacissimo e molto affettuoso, sguinzagliato a curiosare dovunque, a ricordarci che siamo troppo imbrigliati nei movimenti fisici e mentali.
Il cuore della storia è infatti Teddy, cucciolo amato e “viziato” secondo una certa visione dell’educazione canina; secondo il protagonista Riccardo, ad essere viziata è l’aria che si respira in una cultura dominata dal controllo eccessivo, dal perbenismo che produce grigiore e depressioni varie.
Riccardo si ribella, vuole rompere con luoghi comuni e pregiudizi, vuole conoscere il suo cane e, attraverso lui, se stesso: “Via, corri amico mio. Ecco la spiaggia … Insegui pure i gabbiani, che a stormi si alzano dal bagnasciuga, appena ti sentono arrivare, annusa le loro orme, scopri un mondo marino misterioso e ricco di vita”.
E ancora: “Non ci sarà nessun Catone a censurare la mia gioia infinita, provocata da un cane che esprime un io grandissimo in un corpo piccolo!”
Secondo una sua consuetudine, anche qui l’autore si avvale di illustri pensatori citandoli in alcuni passaggi, da Erasmo da Rotterdam (Elogio della follia) a Konrad (E l’uomo incontrò il cane) a C. Foster (L’animale che è in noi).
*Poetessa e critica letteraria.
R: Il romanzo di Diotima - Gaetano Cinque
IL ROMANZO DI DIOTIMA
RECENSIONE DI CARLA ROSCO*
Ormai si sa: la scrittura di Gaetano Cinque è un fiume in piena e, se ci entri, fai fatica ad uscirne. Se poi è il discorso sull’eros il cuore pulsante del romanzo, dal fiume si esce solo alla foce.
Confesso però che quando vengono ricostruite vite che appartengono alla storia – ed anche al mito – all’inizio sono disturbata dal non poter sapere cosa è documentato e cosa no, poi come per “Il romanzo di Diotima” mi lascio prendere dal fluire delle parole e del racconto. In questo caso anche dal rilievo che viene dato a Aspasia e Diotima, due donne consapevoli e battagliere, la cui esistenza è sospesa tra storia e letteratura filosofica.
Cinque immagina che sia Diotima a scrivere a Lesbo la sua autobiografia: “Per me la vita è letteratura: non sarò del tutto fedele a come realmente ho vissuto … Saffo sarà la mia guida per questo viaggio fantastico e immaginativo”.
Fra le due donne c’è molta attrazione, ma anche un confronto serrato sui grandi temi che nella Grecia di Pericle sono dibattuti da politici e filosofi; non sempre sono d’accordo fra di loro: Aspasia sta con Pericle e come lui pensa che ci siano guerre necessarie, la sacerdotessa e profetessa Diotima ritiene che “Eros disegna il nuovo futuro dei popoli, non Marte. Eros vuol dire sapere, cultura e scienza”. E ancora: “Non ammazzare i tuoi simili e gli altri animali. Rispetta la vita”.
Il libro ci offre un’ampia panoramica sugli scambi intellettuali tra Aspasia, Diotima, Pericle, Socrate, Anassagora, e altri che di volta in volta si trovano ad intervenire, nel tentativo di capire cosa è meglio fare perché la democrazia ateniese possa consolidarsi ed essere un faro nel presente e nel futuro.
Diotima è profondamente erotica e pacifista e a lei così si rivolge Socrate: “Ti posso assicurare, Diotima, che la nonviolenza sarà per sempre il mio credo esistenziale. Il mio caposaldo filosofico è l’esercizio della tolleranza, basata sul non arrecare mai danni agli altri. Tu mi conforti in questa mia convinzione, e penso che la tua ricerca sul vero eros consista in questa dimensione di pacifica convivenza”.
Dopo anni di vita intensa, ricca di eventi e di persone, la situazione ad Atene degenera, e il romanzo si chiude con la morte di Socrate e l’esilio volontario di Diotima a Lesbo.
*Giornalista e poetessa
Il romanzo di Diotima - Gaetano Cinque
Nella lettura del "Convivio" di Platone mi ha particolarmente affascinato la figura di Diotima. Affidare ad una donna il tema dell’eros, quale esperta e convinta maestra in cose d’amore, l’ho giudicata sul piano letterario una scelta rivoluzionaria da parte del filosofo greco. Sicuramente non facile, visto che all’inizio del dialogo viene allontanata la suonatrice di flauto, da poco entrata, quando Erissimaco propone che tutti i convitati facciano a turno un elogio di Eros, in occasione della cena di festeggiamento del successo di Agatone, ottenuto con la rappresentazione di una sua tragedia (nel 416 a. C.).
La donna greca vive di fatto separata dal mondo maschile, non può prendere parte alle cose dei maschi, come la speculazione filosofica o la politica. Quindi la suonatrice di flauto vada a suonare il flauto per conto suo, o per le donne di casa, se vuole. E i maschi del convivio passino insieme il tempo discorrendo.
Il tema dell’amore appartiene ai maschi, le donne sono solo succube dell’eros maschile. E invece Platone, quando si tratta di tirare la somma delle cose dette su Eros, di fare, come si suol dire, sintesi, cosa fa? Affida, attraverso la testimonianza di Socrate, l’autorità della verità ad una donna: a Diotima.
Certo solo la condizione di sacerdotessa e di esperta di divinazione faceva acquisire ad una donna greca potere e rilevanza sociale, ma in campo filosofico ancora non c’era stata questa rottura con la tradizione maschilista. E Diotima appare veramente un’eroina della sapienza filosofica. Volutamente viene ricordata nella sua funzione sacerdotale, quando riuscì ad allontanare momentaneamente la peste da Atene, ma poi la sua figura acquista una rilevanza tale che ha un impatto emotivo forte su un Socrate impacciato nelle cose d’amore.
Si è parlato di una tecnica letteraria di Platone basata sulle maschere che devono permettere al filosofo di esprimersi e dire la sua verità speculativa. Ma la scelta tecnica in letteratura non è mai casuale.
Allora pur nella finzione letteraria mi è piaciuto avventurarmi nell’indagine del profilo di questa donna straordinaria. L’ho voluta vedere immersa nella cultura e nella politica del tempo. Ho approfondito le altre donne del periodo. Alcune contemporanee come Aspasia, altre di epoca precedente a quella in cui poteva aver vissuto Diotima.
Poi mi sono detto che forse in tutta la storia letteraria mai si è data questa possibilità per giocare un percorso frammisto di immaginazione e di storia.
Allora mi sono costruito una trama che doveva recuperare altri personaggi femminili quale Saffo e Aspasia stessa. Anche se alcuni ritengono che forse il personaggio di Diotima da parte di Platone derivasse da un’identificazione con Aspasia stessa, ho preferito muovermi delineando figure autonome fornite di un proprio carattere, mentre Diotima assume il ruolo di donna straordinaria e innovatrice.
Rivoluzionaria in un’epoca che effettivamente è stata eclatante per i grandi mutamenti di sviluppo culturale, artistico e civile.
E così è iniziata la mia opera di immaginazione letteraria, ma ad ogni passaggio narrativo importante mi sono misurato con i dati storici in un confronto serrato.
Ho evitato di farmi inghiottire dalle preoccupazioni cronologiche.
Ho preferito la coerenza dei rapporti e l’esplosione dei temi più scottanti del periodo storico esaminato, che comunque alla fine del romanzo ho documentato con un’approfondita cronologia.
Così è nato “Il romanzo di Diotima”, uno spazio libero nella tradizione letteraria e un grande spunto offerto da Platone col suo Convivio.
La letteratura è una grande opportunità che bisogna saper cogliere e Diotima è stata per me la più bella avventura attorno ai temi che mi stanno a cuore: l’eros sorprendente e divino, la speculazione filosofica e la paideia, la lotta all’ingiustizia, all’ignoranza, alla superstizione, l’amore per la bellezza, la gioia della vita, il pacifismo.
Diotima è veramente un abbaglio di verità in un mondo ottuso e lugubre, violento e bigotto.
Tess, amica mia - Gaetano Cinque
Il romanzo “Tess, amica mia” è diviso in due parti. La prima descrive la conversione di un io narrante che da un’avversione verso i cani passa ad un atteggiamento di estremo amore e il cucciolo di Golden retriever acquistato presso un allevamento vicino a Verona per far felice la sua donna diventa per il narratore l’emblema della gioia e dell’amicizia più schietta. E così il rapporto con l’animale rappresenta una grande occasione di scoperta dei valori più genuini e semplici della vita sensibile.
Nella seconda parte invece è il cane che parla. Il narratore presta la parola alla sua amica Tess, che così ha la possibilità di esprimere il suo punto di vista sulla coppia di umani con cui vive e più in generale su tutti gli esseri umani.
Il romanzo quindi offre lo spunto per approfondire aspetti della vita in senso generale, nella quale appare sempre più necessario superare barriere e divisioni tra gli esseri viventi. Il romanzo è anche un inno alla felicità dei sensi, alla fedeltà nell’amicizia e nelle relazioni tra mondo umano e canino.
Con il riferimento al “De amicitia” di Cicerone, infine, l’autore intende sostenere che se non c’è il superamento di differenze nei rapporti tra viventi, mai ci potrà essere vera amicizia, ma solo espressione di potere e di supremazia.
Padre e figlio - Gaetano Cinque
"Padre e figlio" potrebbe essere definito un racconto sul Tempo. Il Tempo è una categoria soprattutto mentale di difficile definizione, è tutta dentro ciascuno di noi e del tutto soggettiva. Eppure una sola cosa ci accomuna: la percezione di precarietà della vita. Sembra che dal momento in cui ci apriamo alla vita, tutto sia destinato a correre in avanti, inesorabilmente, verso un abisso, di cui non sappiamo nulla.
Vorremmo fermare questa corsa pazzesca, vorremmo sostare e attendere, ma cosa?
Ci resta la speranza di qualcosa di perenne.
Che cosa può essere? A cosa ci potremmo aggrappare? Creiamo illusioni, sogniamo mondi impossibili.
Tuttavia ciascuno di noi aspira a questo qualcosa, che dovrà pur accadere. E se non a noi, potrà accadere ai nostri figli!
Ecco allora, è lì il segreto, nel padre che genera per sperare nel futuro.
Si ama una donna per mettere al mondo un figlio, perché il figlio deve garantirci il futuro. E nel futuro noi possiamo esercitare l’attesa. Perché tutta la vita, come in maniera incisiva ha detto Pessoa, è solo attesa, lunga o breve che sia. Il figlio ci garantisce la sua eternità.
Ma sarà così?
Perché ciò accada, il figlio deve corrispondere alle nostre aspettative. Sarà il figlio la nostra stessa impronta vitale? O anche questa è una pura illusione e ci rendiamo conto che è tutto inutile, una speranza di eternità che non si avvererà mai?
Il figlio potrà a sua volta attendere.
Pure questo succede: non è solo il vecchio che spinge in avanti il suo tempo, perché la speranza sta svanendo. Anche il giovane, il figlio, nella sua inesperienza e con le sue contraddizioni per una vita che pulsa, si pone in attesa.
Sarà l’attesa per un padre che è svanito dall’orizzonte del suo presente, perché non si è capito che la vita va vissuta sul momento e l’amore va esercitato nel presente.
Ma i figli a volte sono ottenebrati dalle loro ossessioni e non resta che soccombere all’inevitabile che è e resta un “attendere”.
Si cercano pretesti per illudersi che la realtà sia diversa.
Si cercano corrispondenze che nella vita crediamo di cogliere e non sono altro che proiezioni di un nostro mondo interiore tormentato.
La nostra proiezione ci inganna, e gridiamo all’imbroglio per ciò che è solo frutto di nostri turbamenti.
Il racconto alla fine vuole anche dirci che la carenza della comunicazione interumana, l’assenza di capacità di ascolto, creano situazioni estreme, per cui ci convinciamo definitivamente che grazie alle nostre illusioni le attese ci sono utili per riempire quel vuoto che ci portiamo dentro e che noi stessi abbiamo prodotto, chiudendoci alla bellezza di relazione con chi ci sta accanto.
Cercando l'antica madre - Gaetano Cinque
Attraverso una cornice narrativa fantastica, che segue lo sviluppo della sofferenza creativa di Virgilio alle prese con il potere politico per il suo progetto epico, il romanzo narra la vicenda di una coppia di sposi a partire dai tragici giorni del bombardamento di Trieste nel 1944 fino ai giorni nostri. L’intreccio dei piani narrativi (la vicenda del troiano Enea, vissuta nella genesi creativa del Poeta, la ricerca di stabilità ed equilibrio della coppia, colta nella completezza del suo ciclo vitale, la ricostruzione dell’Italia postbellica con tutti gli sviluppi politici ed economici dei decenni successivi) permette una rappresentazione della vita umana nelle sue perenni domande di felicità e di senso sia a livello individuale che di società.
Il racconto si sviluppa attraverso tre grandi periodi cronologici così definiti: Gli anni della distruzione – Gli anni della speranza – Gli anni della crisi.
Manoscritti scandalosi - Gaetano Cinque
Dai manoscritti emergono temi legati a correnti di pensiero degli anni Sessanta e a suggestioni letterarie che avevano caratterizzato le varie avanguardie e sperimentazioni stilistiche e formali: nichilismo, esistenzialismo, surrealismo. Dominante è il tema dell’eros e dei rapporti di genere. Ma è l’insieme di un disagio esistenziale, di una noia e inadeguatezza persistenti a connotare una scrittura, che risulta interessante sia per il valore documentale di un’epoca sia per gli intrecci narrativi dei vari generi proposti: drammi, racconti, diario, poesie. È un’antologia di scritti che potranno coinvolgere anche i lettori di oggi non solo perché rappresentano la voce diretta ed originale di anni molto importanti (1963 – 1971), ma anche perché testimoniano un percorso formativo ed espressivo che vuole essere paradigma universale di un itinerario giovanile di ricerca dei significati di ciò che accade all’uomo e dall’uomo stesso provocato, spesso in maniera paradossale e inaspettata.
Ed ecco allora che lo scandalo non è più tanto nei contenuti narrativi proposti, nelle scelte linguistiche e di stile, bensì in quel coacervo di sentimenti, idee, pulsioni, che non riescono a trovare sintesi e azione propositiva di cambiamento e di miglioramento di un mondo, che sembra essere precipitato nei meandri oscuri di un’umanità, che ha smarrito ideali e speranze. E Schiele, posto quale copertina del libro con il suo dipinto del 1913 Amicizia, vuole essere una chiave di lettura di testi fortemente connotati di fisicità e di desiderio di riscatto.
Dei semidei comuni mortali - Gaetano Cinque
Il testo, attraverso le sette parti di cui è composto, "il prologo" (presentazione delle ragioni dello scrivere di scuola), "un modello interpretativo" (definizione di paradigmi di lettura di alcuni fenomeni scolastici), "memorie scolastiche" (un percorso storico che affonda i suoi inizi negli anni Sessanta), "l’insegnante in cattedra" (un quadro coraggioso dell’insegnamento a partire dagli anni Settanta), "il preside" (la scuola come organizzazione, espressione alta della riforma introdotta dall’autonomia scolastica), "un’idea di scuola per il futuro" (quali le possibili prospettive per il futuro della scuola), "appendice" (il saluto del preside ai suoi insegnanti nel momento del suo pensionamento), intende delineare un processo storico della scuola, che fa intravedere, attraverso le varie forme in cui si esprime, un filo rosso che lega la scuola ad una grande idea di Utopia, intesa come profonda aspirazione ad un mondo migliore da prefigurare nell’educazione delle giovani generazioni.
Lettere da Trieste - Gaetano Cinque
L’opera è divisa in più parti: la prima definita "l’archivio di mia madre" dà conto di come l’autore del libro sia venuto in possesso delle lettere, che erano state conservate gelosamente dalla protagonista femminile della storia d’amore; la seconda parte, suddivisa a sua volta per ciascun anno di invio delle lettere, assume dei titoli che sintetizzano come si sviluppa il rapporto: "l’innamoramento", "la promessa" ovvero "l’attesa", "la riconciliazione", "il matrimonio"; la terza parte, definita "appendice", riporta alcune lettere, presenti sempre nell’archivio, scritte dalla fidanzata e da parenti; la quarta e ultima parte dal titolo "l’epistolario, note di filologia testuale", vuole essere un breve saggio sul senso di tutta l’operazione messa in cantiere dall’autore: perché pubblicare delle lettere private in una funzione narrativa e letteraria. Ciascuna lettera è preceduta sempre da un commento che vuole essere la voce narrante della storia, che è direttamente rappresentata dai protagonisti. Possiamo dire che è l’edizione critica di un epistolario privato. È applicare il metodo critico letterario ad un testo che non nasce come opera narrativa per essere divulgata, bensì destinata a dissolversi, come mille altri atti della vita quotidiana, se non c’è l’intenzione di strappare alla caducità del tempo gesti di memoria personale. Una piccola documentazione fotografica e una breve bibliografia chiudono l’opera che può essere definita epistolario d’amore, oppure breve saggio documentale sulla narrativa postmoderna.
Vite parallele - Gaetano Cinque
È possibile vivere nello stesso tempo più vite senza che tra loro ci sia alcuna interferenza? Fatta una scelta tra le tante che si presentano nella vita, quelle escluse sono definitivamente perse o è possibile un loro recupero? È ciò che si chiede ossessivamente Paolo, il protagonista di questo romanzo, che oscilla tra presente e passato per la definizione di un futuro, che appare sempre più incontrollabile. E questa sua ricerca lo porta a perdere la sua donna, di cui scopre, solo al momento dell’abbandono, di esserne fortemente innamorato. La vicenda si svolge nella terra flegrea, a Nord di Napoli, dove la coppia decide di trascorrere la solita vacanza estiva in maniera diversa, definendo degli itinerari comuni per comprendere un passato vissuto separatamente. Ma presto nascono incomprensioni e quello che doveva essere un periodo di arricchimento della vita di coppia diventa lacerazione e sofferenza. Aprire al passato significa per Paolo penetrare nei risvolti più reconditi dell’animo dell’uomo, è metterne a nudo la sua vera natura, caratterizzata dalla ricerca del piacere e della seduzione in qualsiasi condizione si venga a trovare. Scopre che il godimento della sensualità dei corpi è alla base dei comportamenti umani in ogni tempo. E i Campi Flegrei, che sembrano essere il luogo ideale per questa esplosione dei sensi e del piacere fisico, essendo una terra magmatica e in continuo fermento, offrono itinerari di ricerca non solo nel presente, ma anche nel passato più lontano, come quello di Roma Imperiale. E allora le storie s’intrecciano. La vicenda di Paolo e di Martina si confonde con l’infelice amore di Petronio per Agrippina, uccisa dal figlio Nerone o con la metamorfosi di Lucio nel racconto di Apuleio. Romanzo visionario, che pone domande importanti sul nostro vivere, un romanzo indicato per il terzo millennio dopo Cristo, in quanto nulla è garantito per sempre, i tempi si dilatano, e tutto incombe come su un eterno presente senza mai la certezza di un profilo condiviso per una scelta definitiva. Un prologo, dal titolo emblematico “Paradigma flegreo”, guida alla comprensione del contesto geografico rispetto all’immaginazione letteraria dell’autore.
Diario minimo di uno scrittore esordiente - Gaetano Cinque
Diario minimo…può considerarsi un vero e proprio manuale, una guida mentale e psicologica, ma anche decisamente tecnica e strumentale per aspiranti scrittori, per coloro che, volendo pubblicare un loro primo testo, assumono la dicitura “esordienti”.
E proprio perché questa definizione resta in molti casi indelebile, quasi un marchio, il testo intende apportare qualche chiarimento su un mondo che ai neofiti risulta veramente incomprensibile.
Innanzitutto dibattendo qual è il rapporto tra scrittura e letteratura. E soprattutto cosa succede se uno scrittore esordiente decide di non seguire mode e mercato, editoria di successo e concorsi nazionali.
Fare un’autoanalisi della propria vena narrativa, ricercare i motivi che sono alla base di progetti letterari e rappresentarli con le motivazioni immediate e sincere, diventa istruttivo e di grande aiuto per chi inizia a misurarsi con il proprio io creativo.
Il testo quindi si offre come manifesto programmatico per chi resterà ai margini della grande editoria. Essere autori minori non vuol dire però essere poco significativi, anzi!
Il più acuto interprete del sentimento di marginalità è stato un grande della letteratura mondiale: il portoghese Fernando Pessoa, il cui pensiero rivive nell’ultima parte del Diario minimo…
Una sana follia - Gaetano Cinque
Il romanzo Una sana follia (Giovane Holden edizioni, aprile 2018) si presta a due piani di lettura: il primo è quello esterno, di superficie, e riguarda un’argomentazione molto diffusa su come agire quando si decide di aver con sé un cane, o preso al canile o acquistato ad un allevamento. Ci sono nel romanzo tutti i temi molto sentiti e dibattuti circa l’educazione/addestramento del cucciolo, quelli concernenti il tipo di relazione che si intende avviare col proprio animale, e i doveri a cui siamo tenuti una volta assunto l’impegno del cane.
È questa un’analisi molto variegata e viene espressa in molti punti di vista, anche se poi si concretizza in una diatriba radicale basata sul simbolo del guinzaglio, che rappresenta l’adesione o meno ad una libertà assoluta del cane!
L’altra lettura più profonda del romanzo riguarda invece temi filosofici ed esistenziali circa la felicità di ogni essere vivente e il percorso cognitivo verso la verità del sapere.
La follia, così come descritta da Erasmo da Rotterdam, alla fine rappresenta un percorso di autoconsapevolezza e i sensi, spesso denigrati come fuorvianti dalla conoscenza intellettiva, riacquistano la dignità di un sapere vitale.
Il conflitto tra i due protagonisti, Riccardo ed Elisabetta, è l’eterno dilemma tra razionalità e istinto, tra rigoroso rispetto delle regole e gioiosa intraprendenza sollecitata dal nostro istinto primigenio, che ci fa animali tra animali.
E la conclusione è che possiamo sperare in un miglioramento dei rapporti umani proprio quando si stabiliscono autentici rapporti con un animale non umano.
R: Una rivoluzione quasi perfetta - Gaetano Cinque
Avendo notato solo ora il commento di un lettore al mio romanzo mi sembra opportuno rispondere .
"Una rivoluzione quasi perfetta" è un romanzo che ha una pretesa letteraria, che vuol dire cimentarsi con una scrittura che miri a penetrare nei cuori e nella psiche dei personaggi. Diversamente avrei scritto un saggio, ben documentato e con una dotta bibliografia.
Vita privata e sesso si misurano con i grandi ideali e mettono a nudo le mille meschinità, anche di chi ha avuto aspirazioni rivoluzionarie e progetti per profondi cambiamenti politici.
Già a partire da Gesù e dal suo grande messaggio rivoluzionario delle Beatitudini il protagonista si scontra con un’umanità piena di contraddizioni e di limiti, ma sempre alla ricerca di una salvezza…
Certo la descrizione di scene erotiche, giudicate eccessive, può infastidire la sensibilità di un lettore poco disponibile a coglierne il significato narrativo. Ma questa ossessione del protagonista è l’altra faccia, quella più nascosta della violenza privata, che si annida anche nei rapporti più intimi, personali, inconfessabili, anche se a volte è l’unica arma contro il potere.
È probabile che non siamo abituati a guardarci dentro. Cerchiamo la violenza sempre fuori, negli altri!
Ma spesso la violenza è dentro di noi, inconfessabile. E Paolo S., l’insofferente protagonista di "Una rivoluzione quasi perfetta", cerca di esternarla, di coglierne la dimensione più misteriosa.
Solo chi ha vissuto veramente il clima libertario del Sessantotto può rendersi conto di come fu importante la piena rottura della cappa di bigottismo che purtroppo è tornato imperante ai giorni d’oggi.
Vedere nel sesso ancora il male o la sozzura, che inquina la memoria di piazza Loggia è inaccettabile, perché ciò che viene dopo è la fine di un’illusione, la fine dell’età dell’innocenza, la fine di un’ingenuità.
Solo un lettore poco attento può confondere i piani narrativi, definendo sozzura la svolta ideologica, culturale e personale che si trova ad affrontare il protagonista, che matura l’impossibilità di una prospettiva per il suo progetto di un romanzo su Gesù.
Tutto questo il mio sconosciuto lettore poteva approfondire e magari ancora confutare se solo avesse avuto meno fastidio e fosse venuto all’incontro con l’autore, con cui interagire.