Alice Raffaele

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Luce d'estate ed è subito notte - Jon Kalman Stefansson

RECENSIONE CUORALE A CURA DE “I MISERALIBRI – GRUPPO DI LETTURA BIBLIOTECA DI CHIARI”

“Per quale motivo leggiamo e discutiamo; si può rispondere a domande del genere? Forse no, abbiamo un compito, a parte voltare pagine, sederci in cerchio, scambiarci aggettivi e così via?” (semicit.)

Iperboreo manifesto della casa editrice specializzata in scrittori e scrittrici nordici, l’esordio narrativo di Jón Kalman Stefánsson è coerente nella sua dualità: nel freddo asciutto, scottanti contatti; nella cieca serenità, lampi di tristezza; nella chiara semplicità, complessità oscure.
“Luce d’estate ed è subito notte” ha uno stile descrittivo e poetico che ha disorientato molti di noi, con frasi molto pulite e meno baroccheggianti rispetto a quelle delle nostra lingua. Alcuni partecipanti l’hanno trovato piacevolmente discordante; altri, dopo essere stati inizialmente infastiditi, sono rimasti colpiti dall’amore per i personaggi; altri ancora, invece, non sono stati presi dalla lettura, o al contrario sono stati intrigati dalla discussione e lo leggeranno.

“Continuiamo ad aggiungere nuovi incontri, ci resta difficile metterci un punto, ma forse è anche perché chi analizza la lettura ha la tendenza ad andare per le lunghe – tutto quello che facciamo è in un modo o nell’altro una lotta contro l’omogeneità.” (semicit.)

Stefánsson ci ha mostrato la vita davvero com’è: irrefrenabile mentre scorre, mentre noi invano cerchiamo di afferrarla, stringerla, trattenerla con le mani il più possibile, ma lei è già andata avanti, al secondo, al minuto, all’ora successiva. Siamo eterni insoddisfatti come alcuni dei personaggi che non hanno convinto particolarmente qualche partecipante. Abbiamo il potere solo sulle pagine che giriamo, sulle parole su cui ci soffermiamo, e però non è già tanto? L’opportunità di poter perdersi in discussioni, riflessioni e digressioni partendo da poche sillabe affiancate tra loro, da poche azioni quotidiane che si susseguono una dietro l’altra, numerose e varie, persino in una piccola comunità. Quante cose succedono, infatti, in un piccolo paesino dell’Islanda: Stefánsson declina l’umana variabilità in un insieme di episodi intrecciati tra loro. Un bel concentrato che arriva all’anima dei lettori per la sua universalità e per la sua esistenzialità amplificata. E tutto ciò nonostante la vita in Islanda sembri comunque lontana e atipica rispetto alla nostra, una distanza dovuta pure alla geografia che per qualcuna è ricaduta sul libro. Una geografia e una morfologia che, però, forniscono conforto ai loro abitanti che si affidano molto alla natura, soprattutto al mare.

“Tre sono le cose che facciamo – respirare, leggere e discutere insieme. Può volerci un po’ per arrivare in fondo a un incontro o a una recensione, ma va bene così, perché i messaggi importanti, quelli che contengono qualche verità, un nocciolo di essenza, belli nella loro disperazione, non possono essere consegnati in un modo che consenta di riceverli direttamente senza condividerli.” (semicit.)

La ricchezza di “Luce d’estate ed è subito notte” non è solo data dalla varietà delle storie, bensì anche dal sottotesto che lettori più attenti possono cogliere, dalle intelligenti proiezioni della realtà politica e sociale dei giorni nostri. Non mancano le forti critiche sociali al mondo occidentale e in particolare agli Stati Uniti, o all’importanza che diamo a cose o luoghi futili rispetto ad altri, come la provocazione delle palestre come nuove chiese o quella sugli eroi del nostro tempo (ahimè, gli influencer?). Stefánsson toglie tutti gli orpelli e arriva dritto all’essenza. In questa sua opera come in molte altre, la peculiarità, il tratto distintivo di questo scrittore islandese è che i suoi lettori si trovano volontariamente a rallentare, trattenuti, non obbligati, ma dolcemente invitati ad assaporare e ricercare un senso, un messaggio; a sondare l’insondabile in una ricerca infinita verso ciò che conta veramente. In questo romanzo paesano, infatti, la vicenda di ogni personaggio è solo uno stratagemma, a partire dalla figura dell’Astronomo. Ognuno di loro cerca sé stesso in un proprio percorso, e Stefánsson è abile, cortese e delicato a non dare mai giudizi, illuminando soltanto i passi e i bivi decisivi.

“Che questi incontri di dialoghi e confronti nella nostra biblioteca siano una sorta di risposta a quella domanda, e al senso d’incertezza che ne deriva? [...] La condivisione stessa è lo scopo, il risultato ce ne priverebbe.” (semicit.)

E qual è il nostro, come gruppo di lettura, di percorso? Con le sue filosofie, “Luce d’estate ed è subito notte” ci ha mostrato che, anche se il buio è prevalente, alcuni sprazzi di luce prima o poi arrivano, come l’apertura del ristorante di Elisabet o l’evoluzione di Benedikt. A noi non resta quindi che evidenziarli, accenderli ancora di più, questi sprazzi, indicandoli a chi di noi li ha solo intravisti, prestando ognuno i propri occhi agli altri compagni, alternandoci nella guida e passandoci il testimone, per arrivare a co-costruire nuove interpretazioni corali, anzi, cuorali, e chissene se l’etimologia stavolta non è dalla nostra parte.

“Nei nostri incontri conservo l’oro.” (semicit.)

R: Il rosmarino non capisce l'inverno - Matteo Bussola

Nonostante un'idea carina per legare i racconti e tutte le protagoniste, ho trovato “Il rosmarino non capisce l'inverno” troppo pieno di cliché, un po' buonista e direi anche stucchevole, in certi punti.

Matteo Bussola ha voluto immergersi nell'universo femminile definito come è definito dai media, quindi ci sono un po' tutte le figure e i ruoli per accontentare tutte, volutamente non “tutti” perché è chiaramente un libro rivolto a donne. Il problema secondo me non è tanto questo, quanto più che, tranne forse due o tre storie sul totale, le restanti sono molto banali e, soprattutto, che l'autodeterminazione delle donne protagoniste arriva sempre o perché si ammalano (o entrano in contatto con la malattia) o comunque perché hanno a che fare in qualche modo con “signora bionda” che è protagonista del primo e ultimo racconto: perfetta e angelica, ha sempre la frase adatta da dire in ogni occasione a volte senza nemmeno conoscere le interlocutrici, anche se poi incarna lei stessa il “do consigli agli altri ma io non riesco a seguirli”.

Le storie sono scritte bene, molto scorrevoli, ma abbastanza superficiali. I personaggi maschili sono pochissimi e, nel novanta percento dei casi, anche loro rappresentano dei cliché o non fanno una gran figura. Salvo qualche frase generale che fa riflettere un po'. Peccato, perché mi aveva convinto di più con “Notti in bianco baci a colazione” o “Viola e il colore blu”, dove era risultato più genuino, sarà perché ha narrato della sua esperienza.

Dialoghi prima dell'alba - Stefano Massini

La raccolta contiene “Io sono il mare”, “Prima dell'alba”, “Ultimo giorno di un condannato a morte” e “La Ballata della Morte”, tutti andati in scena tra la fine del 2002 e il 2003, tutti con lo scopo di fare sviluppare “sensibilità civica”, come la definisce nella postfazione il produttore teatrale Francesco Biasi, su una tematica ancora oggi calda.

“PADRE GALLAGHER (avanzando verso Hudson) Perché si nasconde davanti a sé stesso? (attaccando) Vuol dare a vedere di essere tutto d'un pezzo: un colosso di pietra, un gigante d'acciaio! Spazzola gli stivali, lucida il distintivo... Ma intanto se le parlo abbassa lo sguardo... Forse il colosso è di argilla? E se dentro il gigante abitasse un nano? [...] Mi parli dei suoi tre giorni di limbo! Le spettano, no? Eppure alle sei del mattino lei è di nuovo qua: che vuol dire? Fa l'eroe o fugge i fantasmi?... Che ne dice? Chi si nasconde sotto l'uniforme? Il domatore o il pagliaccio?... L'uomo o il pupazzo?” – Pag. 52, da “Io sono il mare”

Sono tutti e quattro testi estremamente potenti, dove le parole sono state selezionate con cura, però ho trovato estremamente potenti il primo, “Io sono il mare”, sulla condanna dell'italo-americano Derek Rocco Barnabei negli anni Novanta, e il terzo, trasposizione dell'omonimo scritto di Victor Hugo, a volte riportato senza modifiche perché già si prestava al teatro.

“SECONDO ATTORE (con un filo di voce, come il ricordo di una certezza ormai svanita) La tua vita non è carta... (come un testamento estremo, dolente e forte al tempo stesso) Sei un uomo, non solo un delitto. Hai un cuore, non solo un reato. Hai una vita, non solo un errore... (sorridendo, come rischiarato dall'ironia spiazzante della sorte) Nella testa che mozzano c'è una mente che vola... Intorno alla colpa c'è un prima e c'è un dopo: chiudendoti gli occhi, uccidono un mondo...” – Pag. 112, da “Ultimo giorno di un condannato a morte”

In tutte le opere di Massini che ho letto finora c'è ricerca, profondità, impegno, emozione e, soprattutto, scopi ben precisi: i suoi non sono solo meri esercizi stilistici, bensì scrive con un preciso messaggio da trasmettere, un seme anche disturbante da piantare nella mente del lettore-spettatore. Se si pensa che questi testi li ha scritti più di vent'anni fa, a neanche trent'anni, non rimane da dire che chapeau.

Superba è la notte - Alda Merini

RECENSIONE-POESIA CORALE A CURA DE “I MISERALIBRI – GRUPPO DI LETTURA BIBLIOTECA DI CHIARI”

Follis, follis

Se la poesia è un riscatto
allora la somma raccolta
potrebbe non essere sufficiente
a rilasciare l’ostaggio.

La libertà si può pagare anche a rate
Alda Merini ci ha messo gli interessi.
Quando i suoi aguzzini l’hanno riafferrata
divincolarsi non le è servito a molto.

Non le è rimasto che urlare disperata
angoscia fredda che mette a disagio
restando comunque ermetica e oscura
amareggia e distanzia chi la ascolta.

Il dolore degli altri è riconoscibile
ma è assurdo pretendere di capirlo a fondo
altrimenti in fondo con sé ci condurrebbe
infiammando i mantici che temiamo di avere.

Se la poesia è un bisogno impellente
allora prima o poi dovremo arrenderci
all’esigenza di espellere ciò che ci turba
esasperantemavabenecosì.

A volte l’unico appiglio per sopravvivere
è il tratto scottante di una penna
per passare dall’essere trascinati
a lasciare segni su fragili fogli.

Il palmo si ustiona, l’anima brucia.
Di sprazzi di vitalità di una mente caotica
rimangono parole di cenere soffiata
buchi di sessanta sigarette al giorno.

Li ha allargati, la poetessa dei Navigli,
accettando di consumare parti di sé
offrendoci coi suoi filtri l’opportunità
di aspirare il nostro stesso io.

Note:
1) Il titolo richiama l'etimologia latina della parola “follia”, un sostantivo latino della terza declinazione che significa “vuoto” o “mantice”, ovvero lo strumento usato per produrre un soffio d'aria e attivare il fuoco di una fucina. Il termine “follis” serviva anche a indicare una moneta di bronzo oppure un sacchetto che conteneva una certa quantità di denaro.
2) Chi segue le recensioni del gruppo di lettura sa che mi piace sperimentare con la forma dei testi delle recensioni corali cercando di allinearmi a quella dei libri che abbiamo discusso. Dilettandomi senza alcuna pretesa ogni tanto con le poesie, giusto per soddisfare il mio proprio bisogno di buttar fuori qualcosa, non ho potuto fare altro che prendere gli interventi dei partecipanti e metterli in versi, per rendere omaggio alla Poetessa dei Navigli.

Lo hobbit, o, La riconquista del tesoro - J. R. R. Tolkien

RECENSIONE CORALE A CURA DE “I MISERALIBRI – GRUPPO DI LETTURA BIBLIOTECA DI CHIARI”

Dopo molti mesi di attesa, finalmente abbiamo letto e discusso quello che qualcuno ha chiamato “una piccola gemma”.

“Lo hobbit” ha positivamente sorpreso alcuni partecipanti, come chi l’ha trovato del tutto inaspettato e non l’avrebbe mai letto se non fosse stato per il gruppo di lettura, e chi l’ha definito rocambolesco non solo per le avventure dei protagonisti bensì per il proprio cambio di idea rispetto all’opera stessa. A un partecipante hanno messo allegria le filastrocche presenti all’interno dei capitoli, mentre un'altra si è dispiaciuta di avere visto i film in precedenza. Qualcuno ha ricordato come questo sia il primo libro con cui lo scrittore inglese di origine sudafricana abbia introdotto i propri lettori nel suo universo, e un'altra persona ha usato l'aggettivo “esplorativo” perché finalmente pure il nostro gruppo di lettura si è avventurato nel mondo fantasy, compresi coloro che avrebbero preferito non entrarci. Non sono mancati infatti dei pareri negativi (come è giusto e normale che sia!): una partecipante si è fermata alle prime pagine perché ha trovato il libro noioso e scialbo, mentre un'altra, che è riuscita a portarlo a termine con fatica, ha osservato che, a parte il riferimento alla madre di Bilbo, nel libro manchino completamente figure femminili.

Non si può negare che “Lo hobbit” abbia diversi livelli di lettura e, forse proprio grazie a questo, riesca ad arrivare a pubblici di diverse età, non solo bambini e ragazzi per cui sembra apparentemente essere stato scritto in prima battuta. Il libro si presta a una marea di interpretazioni. Tolkien costruisce un mondo ricreando l’epica che gli inglesi non hanno avuto, portando n un paese anglicano una visione cristiano-cattolica caratterizzata dalla Provvidenza, perché c’è sempre un’entità indipendente dalle scelte umane. C'è chi si è focalizzato maggiormente sui riferimenti umanizzabili presenti nel testo, perché le creature magiche protagoniste incarnano le stesse caratteristiche e gli stessi valori e difetti degli uomini: dall’amicizia al coraggio, dall’ambizione alla paura, dai pregiudizi verso creature di altre etnie alla brama di arricchirsi. Infine, un altro partecipante che ha detto di avere letto il romanzo in modo molto rilassato ma appassionato, ha messo in luce l’attenzione all’ambiente e il risalto della forza naturale da parte di Tolkien, facendo notare come il drago Smaug possa essere visto come una fabbrica che si espande e inquina sempre più, e che la scienza e la tecnica, se messe al servizio della distruzione, possano condurre alla desolazione.

Al di là dei significati più nascosti, quale morale abbiamo tratto da questa favola per adulti? A Bilbo sono capitate tantissime cose soltanto perché ha lasciato la propria tana e ha agito da scassinatore anche verso l’esterno di sé. Forse, a volte, dobbiamo aprire – se non proprio scardinare – le porte che ci chiudiamo da soli, perché non sappiamo quali magiche e fantastiche avventure ci stiano – ci stiamo – precludendo.

7 minuti - Stefano Massini

Un piccolo gioiello, ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto in un fabbrica francese, dove ciò che brilla è la dignità, un'idea che non può fare a meno di collidere con la realtà delle cose, con i bisogni di coloro che, di necessità o di pancia, voterebbero subito "Sì, riducete pure la pausa da quindici a otto minuti pur di farci lavorare". Tuttavia sono il pensiero critico e la capacità di ragionare che portano Blanche, e pian piano anche le altre del consiglio, a comprendere che una scelta istintiva potrebbe avere conseguenze ben più gravi di un licenziamento in tronco. Conseguenze su larga scala in un orizzonte temporale più ampio, soprattutto quando le persone che hanno la facoltà o l'obbligo di scegliere sono state elette da una popolazione più grande e di queste sono le rappresentanti. Come tali, devono (o almeno dovrebbero) avere una mentalità così aperta da "mostrare in sé la figura di altri", ovvero non limitarsi a considerare solo sé stesse o i propri interessi (se non addirittura tornaconti), ma quelli complessivi di tutte le persone che a loro - rimarchiamolo: A LORO - hanno affidato il potere di esprimersi a nome di altri.

"BLANCHE: Perché stai qui, Odette? A cosa serve il tuo voto? Il mio voto, il suo, quello di Arielle, a cosa serve se ogni cosa era già scritta prima? Possiamo cambiare le cose: vogliamo cambiarle o no?
RACHEL: Non dipende da noi.
BLANCHE: E da chi allora? Miseria, da chi dipende, Rachel? Da chi? Dal tuo voto, dipende! Dal tuo voto, dal tuo sì o dal tuo no, da quello che decidiamo! Non può essere sempre colpa del sistema, vuoi capirlo? Non può, non può! [...] Noi diciamo di continuo: non posso cambiare io le cose. Intanto ti fai i tatuaggi con scritto libertà... Non ci capisco niente. Ma come gira il mondo? Come gira?" - Pag. 54

Parla solo di una fabbrica, "7 minuti"? Assolutamente no. È "la Prussia per la Cina", direbbe lo stesso Stefano Massini in un'altra sua opera su Freud: nasconde ben altro. Custodisce l'idea - un'altra, altrettanto forte e delicata come la dignità menzionata prima - della responsabilità. Se vengo eletta a nome di altre persone, nei loro confronti dovrò offrire e garantire risposte, decisioni e pareri; non astensioni, non compromessi sporchi. "7 minuti" contiene l'essenza di quella che dovrebbe essere la politica: il ruolo e il peso dei suoi attori principali, il dialogo e la discussione per un bene comune, le implicazioni verso la società e i principi da salvaguardare e trasmettere.

Grazie al film di Michele Placido conoscevo già la storia, ma ora mi piacerebbe tanto vederla a teatro, con la tensione sempre più crescente e la curiosità di scrutare i volti del pubblico per provare a ipotizzare cosa scriverebbero su quel biglietto da mettere nell'urna: "Favorevole" o "Contrario"?

Nomadland - Jessica Bruder

RECENSIONE CORALE A CURA DE “I MISERALIBRI – GRUPPO DI LETTURA BIBLIOTECA DI CHIARI”

E’ innegabile che le tematiche di “Nomadland” siano interessantissime, per quanto faccia male leggerle: le varie storie narrate dalla giornalista Jessica Bruder testimoniano fortemente che il sogno americano non si è realizzato. Non per buona parte delle persone, almeno, soprattutto per quelle che, arrivate a un’età in cui dovrebbero lasciare andare la presa, smettere di lavorare e riposarsi, si trovano a vendere la casa, reinventarsi e riadattarsi per sopravvivere.

Una partecipante ha descritto questo fenomeno come preoccupante, rivendendosi un po’ in alcuni protagonisti per via dell’età e riferendosi all’assenza anche in Italia di misure appropriate per il sostegno delle persone anziane. La mancanza di un sistema di welfare statale adeguato ha amareggiato anche un'altra partecipante. Empatizzando con i protagonisti del libro che devono continuamente spostarsi e riadattarsi, ci siamo rattristati molto. “Nomadland” fa sicuramente apprezzare quanto siamo fortunati in questa parte di mondo, e risulta in una forte critica verso il sistema previdenziale americano e anche verso l’intero sistema capitalista, Amazon e tutte le aziende che si approfittano della povertà economica di una fetta della popolazione.

Racchiudendo tutte le sfortune del mondo, c'è chi ha definito “Nomadland” un libro “sfigato”: è una storia di sopravvivenza precaria. L’idillio della libertà non è un’aspirazione ma una necessità. Ma è davvero libertà quella di scegliere di vivere in un camper o in una roulotte è una costrizione? Eppure, come ha sottolineato una partecipante, l’idea di usare dei camper o roulotte per ospitare i lavoratori stagionali potrebbe anche avere un senso, se approfondita e implementata con molta più attenzione verso i bisogni delle persone.

Nonostante lo sconforto e la rabbia che crescono leggendo pagine piene di ingiustizie, alcuni di noi sono rimasti molto colpiti dalla forza di volontà di queste persone che, nonostante abbiano perso tutto o quasi, riescono a creare una comunità, una rete di solidarietà positiva che li porta a collaborare e supportarsi.

Il testo è un contenitore illuminante sulla ricerca della dignità umana, ma il suo stile frammentario e la sua poca scorrevolezza non hanno facilitato affatto la lettura e la comunicazione di questo messaggio. C'è chi aveva intenzione di leggerlo ma è stata preso da altri libri, mentre altre ne hanno letto solo qualche decina di pagine ma non sono riuscite a finirlo. Per altri sono stati snervanti i molti termini in inglese non tradotti. Forse il testo avrebbe avuto bisogno di una major revision per organizzare e presentare meglio ciò che dovrebbe essere portato all’attenzione di tutti. In questo, sembra avere avuto successo il film omonimo pluripremiato, reputato da chi l’ha visto decisamente più emozionante. Spezziamo comunque una lancia verso la letteratura (e i podcast) di inchiesta come quest'opera.

R: Guerra e pace - Lev N. Tolstoj

RECENSIONE CORALE A CURA DE “I MISERALIBRI – GRUPPO DI LETTURA BIBLIOTECA DI CHIARI” – LIBRO III

Terzo incontro del nostro Classico del 2023.

La visita alla mostra di “Guerra e pace” continua, anche se qualche lettrice è rimasta indietro alle sale precedenti, come la sottoscritta e un'altra partecipante. Altre hanno cercato di attirarle verso le nuove sale, come qualcuna che ride della presa in giro di Napoleone (ora giallo, grasso e con l’aspetto di un quarantenne scapolo) o che chiama Mosca una “città calviniana”, in quanto viene descritta da Tolstoj come mitica, opulenta irraggiungibile; una madre per i russi e un’affascinante donna orientale per tutti gli altri.

La suspence sulla sorte del principe Andrej potrebbe essere un buon motivo per riprendere la lettura: sarà morto davvero? Questo libro ha lasciato qualcuno con qualche dubbio, oltre che con la sorpresa di averlo “scavallato” senza così troppa fatica. Le numerose parti sulla guerra hanno richiesto più attenzione rispetto a quelle romanzate, però la vicenda è risultata comunque scorrevole. Secondo una partecipante, a costituire il valore aggiunto di “Guerra e pace” sono tutti gli intermezzi e le digressioni di Tolstoj (come la riflessione sul secondo paradosso di Zenone), mentre un'altra ne ha apprezzato l’ironia sottile e intelligente. C'è chi ha osservato come i generali e i comandanti formulino teorie e progettino i loro piani in tutti i dettagli, ma poi vengano smontati in un lampo per pura fatalità. Ed è proprio questa fatalità che si collega alla provvidenza manzoniana de “I promessi sposi”: il libero arbitrio non esiste; le decisioni delle persone sono connesse a tutto il corso della storia e sono predeterminate da un tempo interno.

Sarà davvero così? Non ci resta che avviarci verso l’ultima, risolutiva, sala…

Azami - Aki Shimazaki

RECENSIONE CORALE A CURA DE “I MISERALIBRI – GRUPPO DI LETTURA BIBLIOTECA DI CHIARI”

Si percepisce proprio che “Azami” di Aki Shimazaki sia un “embrione di libro”.

“Azami” è il primo titolo di una pentalogia che, in ogni volume, affronta varie tematiche dal punto di vista di un personaggio diverso: dall’omosessualità e i tabù della società alle discriminazioni razziali, passando per la reputazione acquisita (e da mantenere) grazie alla propria professione e l’assenza di rapporti sessuali in una coppia sposata da tempo, considerato proprio in “Azami”. Scriviamo “considerato” e non “approfondito” perché alla maggior parte dei partecipanti il racconto lungo è sembrato incompiuto. Alcuni non sapevano che vi fosse un seguito e sono rimasti un po’ delusi. Per qualcuna è grevio, senza sale, mentre qualcun altro l’ha giudicato poco più di un harmony. Nonostante l’abbia trovato un po’ insipido, un partecipante ha comunque intravisto qualcosa di puro che l’ha portato a leggere anche i titoli successivi. Analogamente ha fatto un'altra partecipante, alla ricerca di qualche risposta in più su queste storie destinate e ricche di simboli (anch’essi, come i fiori, per lo più accennati). Secondo alcuni, “Azami” è “poco giapponese” perché abbastanza indefinito e trasponibile in altre realtà. Una di noi ha usato l’espressione “di maniera”, come se qualcuno avesse voluto scrivere alla maniera di un giapponese, senza esserlo, raggiungendo un risultato banale (la scrittrice ha origini nipponiche ma è canadese). Altri partecipanti invece hanno sentito sia tra i personaggi sia tra l’opera e i lettori quella distanza e asetticità che è tipica – o, almeno, lo sembra a noi occidentali – delle interazioni con persone giapponesi. C'è chi infatti ha provato frustrazione perché le sembrava di andare a cercare un sentimento che, alla fine, non ha trovato.

Secondo una partecipante, “Azami” è attuale in quanto descrive momenti di vita comuni a tante persone. Per qualcuna rappresenta una brevissima storia d’amore passionale, mentre per un'altra la passione non c’è: i rapporti sono troppo inquadrati, descritti con frasi troppo corte. Invece questo aspetto, assieme ad altri stilistici, hanno contribuito all’ammirazione per la scrittrice da parte di un partecipante, che vorrebbe essere trattato senza giudizio come lei tratta i suoi personaggi.

Questa storia, così veloce nei tempi e nelle relazioni, ad alcuni non ha lasciato nulla ed è un libro già dimenticato, fine a sé stesso. Altri hanno però comunque letto tutta la raccolta perché la curiosità di scoprire il perché *non* condividano qualcosa li porta ad approfondire, a scavare, a leggere ancora. E, allora, non possiamo dire che sia stata una lettura vana.

Tre ciotole - Michela Murgia

Per quanto le storie si intreccino tra loro attraverso alcuni personaggi che a volte agiscono come protagonisti e altre come comparse, personalmente non definirei questo libro un romanzo.
In generale, per me siamo lontani dai livelli di “Accabadora”, ma non so se il confronto valga perché quest'ultimo, appunto, È un romanzo.

Le tematiche comuni della maggior parte degli scritti in questa raccolta sono la malattia, la frustrazione e l'adattamento a eventi fuori dal nostro controllo, sotto varie forme e aspetti. Dei dodici racconti, mi hanno colpito particolarmente il primo, “Espressione intraducibile” (sicuramente il più personale per Michela Murgia), e l'ultimo, “Cambio di stagione” (un rito che Murgia ha già compiuto nel suo cinquantesimo compleanno).

“Quando anche l'ultimo invitato se ne era andato col suo bottino di stoffa, si sedette sotto un albero e pianse in silenzio tra le ombre dei rami sempre più distese, mentre il vento calante lasciava i vestiti rigidi sulle grucce, pelli di rettile, mute del serpente che era stata sua sorella, velenosa e calda, piena di spire.” – Pag. 136

Ho sorriso per il cambio di prospettiva voluto in “Stato di servizio”, dove Murgia si descrive come “pazza” dall'esterno, attraverso il punto di vista di una governante di un colonnello dell'esercito, richiamando un episodio realmente accaduto durante la pandemia.
Gli altri racconti mi hanno lasciato per lo più indifferente e alcuni li ho trovati poco credibili o discutibili.

R: Guerra e pace - Lev N. Tolstoj

RECENSIONE CORALE A CURA DE “I MISERALIBRI – GRUPPO DI LETTURA BIBLIOTECA DI CHIARI” – LIBRO II

Secondo incontro del nostro Classico del 2023.
L’esibizione continua, e Tolstoj mostra ancora una volta la sua grande capacità di orchestrare tantissimi personaggi. Ma non solo: il modo in cui presenta i vari temi dei diversi capitoli del Libro II invoglia i lettori ad approfondirli, anche se qualcuna non vi trova molto di innovativo rispetto ad “Anna Karenina”, anzi, gli stessi argomenti rischiano di rendere il romanzo un po’ ripetitivo e noioso. Qualcun altro si chiede se lo stile didascalico del libro sia specifico di Tolstoj o anche di altri scrittori russi. Per noi la seconda, però la caratterizzazione dei personaggi da parte di Tolstoj è una sua peculiarità che li rende davvero realistici e riconoscibili grazie a volte a un singolo dettaglio.

Nel Libro II comunque iniziano a prevalere i discorsi sociali, le parti più interessanti, e si intrecciano sempre più le relazioni tra i membri delle varie famiglie, al punto che una partecipante definisce il Libro II come un gran feilleuton, e menziona i quadri di Chagall per collegarsi alle storie d'amore volanti. Non abbiamo più dubbi che al centro del romanzo vi sia il personaggio di Pierre: un po’ smarrito e alla ricerca di sé stesso, un po’ sofferto e accidioso, ma pure un po’ deludente per via delle sue scelte sbagliate. Eppure Pierre, che non conosce le regole dei nobili eppure entra nel salotto di una famiglia imbalsamata, che si distingue sia da Andrej Bolkonskij sia da Nikolaj Rostov perché non è né un militarista né innamorato della figura dell’imperatore, incarna la ricerca dell’uomo nuovo e moderno. Ed è straordinario come, allo stesso tempo, Tolstoj sia in grado di approfondire così dettagliatamente anche le figure femminili di “Guerra e pace” e la donna dell’Ottocento in generale.

Curiosi di sapere come evolveranno ancora i protagonisti e se riusciranno in qualche maniera a riscattarsi, ci avviamo così verso il terzo libro: appuntamento al 22 settembre.

R: L'incredibile viaggio delle piante - Stefano Mancuso

RECENSIONE CORALE A CURA DE “I MISERALIBRI – GRUPPO DI LETTURA BIBLIOTECA DI CHIARI”

“L’incredibile viaggio delle piante” è un avventuroso saggio scritto da Stefano Mancuso, professore di arboricoltura generale e etologia vegetale all’Università di Firenze. Con le sue storie che sembrano quasi favole, con morali annesse, Mancuso ci ha portato in giro per il mondo a visitare regioni impensabili e ogni volta diverse. Una partecipante è stata riportata con la mente a Palermo, a visitare l’orto botanico più grande d’Italia.

Grazie al linguaggio e alle storie amichevoli, abbiamo ammirato la cortesia delle piante, che convivono con noi gentili. Mancuso ha trovato il modo di descriverle quasi fossero delle persone, rendendole in un certo senso ancora più vive. Per qualcuna, il libro è delizioso; per un altro, tutti i saggi dovrebbero essere così informativi e divertenti, sorprendendo anche lettori e lettrici forti che non avrebbero mai pensato che un testo di divulgazione scientifica potesse essere così avvincente. È che Stefano Mancuso scrive proprio bene; Italo Calvino (la cui madre è stata la prima donna in Italia a ottenere una cattedra universitaria in botanica! – https://opac.provincia.brescia.it/opac/detail/view/test:catalog:563190) probabilmente aggiungerebbe che il suo stile cura l’attenzione dell’orecchio di chi ascolta e non si concentra solo sulla voce di chi parla.

Eppure alcuni partecipanti hanno comunque avvertito tra le righe qualche sensazione negativa: frustrazione e forse anche rancore, da parte dell’autore, per il mancato prestigio attribuito dalla società al mondo vegetale, soprattutto se paragonato invece all’ammirazione e al rispetto mostrati per il mondo animale. A lungo andare, con uno stile troppo regnista, come l’ha definito un partecipante, la narrazione potrebbe diventare un po’ irritante.

Sicuramente tra gli intenti dell’autore c’era quello comunque di responsabilizzare il pubblico lettore su un patrimonio vitale da preservare, perché la distruzione delle piante porterebbe soltanto alla distruzione dell’umanità. L’impatto dell’uomo sulla natura è innegabile, non solo per i picchi di isotopi di carbonio rilevati in un’isola a 400 miglia a sud della Nuova Zelanda dopo i test nucleari nell’emisfero settentrionale negli anni Cinquanta. Siamo arrivati a un punto di non ritorno, dove c’è maggiore sensibilità sull’argomento ma all’atto pratico non si sta facendo abbastanza.

Ciò su cui siamo stati tutti d’accordo è che le illustrazioni dell’edizione cartacea siano meravigliose, ma si è sentita la mancanza delle fotografie degli alberi e dei fiori narrati. Un espediente dell’autore per invitarci ad approfondire? Potrebbe avere giustamente piantato qualche seme nella speranza di accrescere la pianta metaforica forse più importante di tutte: la nostra curiosità. A volte, ci vuole solo un fiore (https://www.youtube.com/watch?v=e1ScICZ8aXw).

Le città invisibili - Italo Calvino

RECENSIONE CORALE A CURA DE “I MISERALIBRI – GRUPPO DI LETTURA BIBLIOTECA DI CHIARI”

La città e la condivisione.1. Fausta

Al crepuscolo di un venerdì di giugno, Fausta mi accoglie con la porta socchiusa. Un brusio di molteplici voci proviene dal foro, dove alcune sedie rosse sono disposte a cerchio e un gruppo di persone sta discutendo “Le città invisibili” di Italo Calvino.

Sembra esserci ordine nelle esposizioni anche se non c’è uniformità nelle opinioni: sono frammentate come i racconti stessi del libro, cosa che non ha convinto affatto alcune partecipanti. Non c’è nemmeno una linearità: da un lato, come osserva qualcuno, ciò potrebbe penalizzare l’opera, perché l’assenza di un filo conduttore annoia; dall’altro lato, forse sarebbe più corretto affermare che non c’è un’unica linea che colleghi il principio e la fine. La struttura combinatoria de “Le città invisibili” offre tante strade verso ambientazioni a volte surreali che insinuano il dubbio di apprezzare cosa si stia leggendo. In quest’opera, che un partecipante considera un esperimento legato al periodo degli anni Sessanta e al gruppo dell’Oulipo, la memoria viene messa a dura prova dalla miriade di particolari e dettagli specifici di ogni pagina, dove ogni parola genera suggestioni. “Le città invisibili” non andrebbe letto tutto d’un fiato in pochi giorni ma andrebbe degustato. Una prima lettura potrebbe non essere sufficiente a cogliere tutta la forza del libro.

In ogni città ognuno può trovare qualcosa di sé. E forse il segreto è proprio questo: a meno di non attribuire ai racconti un proprio significato personale, il libro rischia di rimanere sfumato, una mappa oscura. Le città sono come degli specchi: se uno riflette bene su ciò che è riflesso, rileva qualcosa. Per riconoscere gli elementi di realtà trasfigurati in un mondo che apparentemente è solo onirico, potrebbe servire fare dei disegni o usare altre chiavi di lettura come prestare attenzione al linguaggio dei gesti e ai segni.
“Le città invisibili” è un caleidoscopio, dove la forma delle città ha l’impronta e i segni dell’umanità. E così come sono le persone che fondano e fanno evolvere le città, in maniera analoga Italo Calvino richiede a ogni lettore di aggiungere il proprio tassello di legno per generare e completare la sua opera, che perciò non è mai compiuta e finita, bensì continua e continuerà a rinnovarsi e a essere immaginifica, suscitando la creazione di nuove immagini nei prossimi lettori. Un’opera in cui potranno sempre distinguersi “l'Olinda ventura e quelle che cresceranno in seguito”, in un’onda di andare e venire di oggetti e idee più moderni e ambientazioni più antiche.

La discussione giunge al termine e il mio sguardo scorre sugli scaffali. Di Fausta questi sono le vie, dove i suoi peculiari abitanti, volumi apparentemente inermi e silenziosi, sono in grado di scatenare reazioni sorprendenti nei viaggiatori che transitano di lì. Tra queste vi è sicuro la sensazione di sentirsi accomunati gli uni agli altri, mentre visitano a distanza di giorni, mesi o anni, le stesse pagine. Attraverso le sue guide, Fausta mostra ai suoi visitatori infinite possibilità; un punto di partenza verso l’altro al di fuori di sé che inevitabilmente riconduce al sé, mentre si cerca di scioglierne, da soli o in condivisione, i nodi che perseveranno a formarsi.

La sibilla - Silvia Ballestra

Conoscevo poco o nulla di Joyce Lussu, partigiana e scrittrice italiana del Novecento, colei che si interessava della politica “di base e dal basso, pratica, concreta, effettiva. La più difficile. Meno visibile, meno prestigiosa, e, aggiungiamo, non remunerata”. La politica più autentica, probabilmente.
Determinata, anticonformista, riflessiva ma pronta ad agire, e a trovare nella scrittura e nella traduzione “un mestiere insolito”, complementare a quello di suo marito, Emilio Lussu, anch'egli scrittore, militare e politico.
Da Joyce “si irradiano dei campi di energia e di attività, che hanno poi documentazione e testimonianza nella scrittura: la questione femminile, il diverso approccio alla storia, la ricerca di modelli alternativi di sviluppo, la memoria personale e familiare, l'antifascismo e le lotte di liberazione, l'ecologismo, l'antimilitarismo, la poesia come momento 'naturale' della vita di ognuno”, ha scritto Gigliola Sulis su di lei. Immortale come una sua poesia, “non potrà sparire dal mondo / anche dopo il gran tuffo nell'aldilà / continuerà a svolazzarvi attorno / travestita da lucciola o da farfalla”, con “la testa piena di grandi parole come: / dovere, lavoro, ideali, giustizia e libertà”.

Il voto medio della recensione è perché lo stile di scrittura e il ritmo della narrazione della biografia non mi hanno coinvolto molto. Però ringrazio molto l'autrice per aver raccontato la vita e la personalità di questa persona straordinaria.

Educazione europea - Romain Gary

RECENSIONE CORALE A CURA DE “I MISERALIBRI – GRUPPO DI LETTURA BIBLIOTECA DI CHIARI”

“Educazione europea”, romanzo d’esordio nel 1956 di Romain Gary, fu inizialmente edito in Italia da Mondadori nel 1967 con il titolo “Formiche a Stalingrado”, e poi riproposto in una nuova versione da Neri Pozza nel 2006 (che suggeriamo caldamente).
È un libro che si aggiunge ai tanti altri titoli ormai classici che parlano di resistenza e, forse per questo, non ha sorpreso tanti partecipanti del gruppo di lettura, come chi si è un po’ annoiato o chi l’ha abbandonato perché stanco di affrontare tematiche già trattate. I personaggi sono poco caratterizzati e ciò, unito alla difficoltà dei nomi polacchi, non ha fatto molto empatizzare con loro. Eppure la storia è risultata abbastanza scorrevole, nonostante sia un po’ dispersiva e inframmezzata da dei racconti interni, considerati molto poetici, narrati dal personaggio più idealista, lo studente Dobrowski.

“Educazione europea” implicitamente indaga la questione di cosa sia Bene e cosa sia Male, lasciando al lettore la possibilità di dare una risposta definitiva. Vi sono due principali modi di resistere: difendendosi in battaglia oppure collaborando e accettando compromessi. Praticità contro idealismo (o anche utopia). Gary non si limita a questi due poli estremi e ne tratteggia diverse combinazioni, ponendone alcune in scontro diretto, come nel momento più alto del libro per una partecipante: il confronto tra un padre e un figlio che hanno preso posizioni opposte pur avendo lo stesso carattere. Vi sono poi anche aneddoti di abitudine alle cose che succedono in guerra, quasi delle contronarrazioni. La guerra sarebbe potuta finire prima se tutte le persone fossero intervenute combattendo, ha dichiarato un partecipante, perché aspettare che intervenga qualcuno per reagire a propria volta non è sufficiente. Il monito dello scrittore francese è che non esiste salvezza per chi non sceglie la parte del bene: chi cerca il compromesso prima o poi viene travolto. Scegliere è un dovere morale.

Come si fa a scegliere? Anzi, come si può crescere comprendendo quali principi considerare importanti, irrinunciabili, guide per le nostre decisioni? Decisioni tra l’altro da prendere avendo come obiettivi altri valori, altri diritti fondamentali. In guerra non perde chi non si fa prendere dalla barbarie o dall’egoismo di arricchirsi, e in questo la cultura aiuta: ce lo mostrano tutti i personaggi del libro nei momenti in cui cercano di estraniarsi dalla realtà. E vale la pena riprendere l’etimologia della parola “cultura”, il verbo latino “colĕre”, ossia “coltivare”: nei tempi di pace ognuno può formarsi una cultura attraverso i libri, l’arte, la musica o i dialoghi con altre persone, costruendosi degli strumenti, preparandosi ad affrontare ciò che sarà o a tentare di impedire che la storia si ripeta.

È forse questo il messaggio più importante di questo romanzo, che non aggiungerà molto a quanto già presente in letteratura, però con la valorizzazione della cultura contribuisce a ricordarci di essere patriottici e non nazionalisti, invitando tutti i popoli, attraverso una poesia, a essere fratelli. Non solo in Europa, ormai, bensì in tutto il mondo.

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