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La fiamma
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Cohen, Leonard <1934-2016>

La fiamma

Bompiani, 2019

خلاصہ: "Un'anima in fiamme". Questo era ed è Leonard Cohen: un uomo che ha sempre avuto la necessità di scrivere. Poco tempo prima di morire il cantautore canadese ha iniziato a raccogliere, selezionare e organizzare i suoi scritti degli ultimi anni: illustrazioni, testi di canzoni, brani di prosa e poesie appuntati su quaderni o brandelli di carta. Questa memoria scritta ci viene restituita in La fiamma, un intimo autoritratto in frammenti di un artista unico, che con il suo sguardo sul mondo e la sua capacità di creare immagini potenti e cogliere le atmosfere più lievi riesce a condurci al cuore dell'essere umani.

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Alice Raffaele
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(Recensione relativa all'edizione in lingua originale, inclusi i numeri di pagina riportati)

Devo scrivere una premessa, prima di cominciare questa recensione: forse l'unica canzone che conoscevo, composta da Leonard Cohen, era probabilmente la più famosa: "Hallelujah“, di cui Jeff Buckley ne ha fatto la cover. Sapevo che Cohen fosse - sia - uno dei cantautori che DOVEVO recuperare, soprattutto per via della sua aura triste ma affascinante e della poesia delle sue opere, perché una voce dentro di me diceva che ne valeva la pena.
Un poeta può essere un cantante e un cantante può essere un poeta: Cohen ne è un esempio e non so se la sua anima fosse più quella di un poeta o quella di un cantante; disegnava anche. Infatti, uno può esprimere i suoi sentimenti in molti modi: parlando, urlando, cantando, disegnando, anche nascondendosi dal mondo. Ma sono lieta che lui abbia deciso di appuntare i suoi pensieri e anche di aggiungerci delle note, comunicandoli al pubblico. Mi chiedevo cosa "fosse accaduto al suo cuore" (“happened to his heart”) in quel momento, quale fosse la fiamma che lo spronasse, e ho trovato risposta nella lettera di epilogo alla fine di "The Flame".

Il suo primo album che ho ascoltato completamente è stato “Thanks for the dance“, l'ultimo che ha rilasciato, e l'ho fatto mentre leggevo questo libro.
C'è ironia e sarcasmo, verso la società e l'ego e l'arroganza; “Kanye West is not Picasso” è solo l'esempio più ilare.
Ma sia “Thanks for the dance” sia “The Flame” contengono molte altre emozioni. Ho sempre creduto che le composizioni drammatiche siano le migliori, e le sue non hanno fatto altro che confermarmelo ancora.

“No time to change / The backward look / It’s much too late / My gentle book” (pag. 9).
“Let’s wait a little while / let’s wait a little longer / the enemy is gaining strength / let’s wait until he’s stronger.” (pag. 20).
“The sun goes down / Our shadows dissolve / The pine trees darken / O Darling! / We must go home.” (pag. 37).
“I’m leaving the table / I’m out of the game” (pag. 150).

Tristezza, rimpianti e rimorsi: ecco di cosa sono pieni questi versi, certo.

“Tell me again / when I’ve been to the river / And I’ve taken the edge off my thirst / Tell me again / We’re alone & I’m listening / I’m listening so hard that it hurts.” (pag. 109).

Un occhio è sempre fisso sul passato, su ciò che è stato.

“The bullet trains of Tokyo / The monorail / The TGV / They’ll let you know what transportation’s for / but don’t go to Westm’t Station / Those old trains don’t run no more.” (pag. 167).

Eppure c'è un sentimento, inizialmente nascosto nelle virgole, nelle pause, aleggiante nei disegni, qualcosa che comincia ad apparire in alcune pagine, lasciando indizi al lettore sullo stato mentale di Cohen.
Rassegnazione, ecco di cosa sono intrisi i suoi ultimi lavori.

“I got no future / I know my days are few.” (pag. 113).
“I don’t want to ask the gipsy / what the future has in store / I don’t want to ask the doctor / what these little pills are for” (pag. 235).
Non c'è più tempo per aspettare: ha aspettato tutta la sua vita per qualcosa che sognava, che sperava, che immaginava, e questo talvolta gli ha fatto mancare il contatto con la realtà, gliel'ha fatta perdere. Un milione di volte avrebbe voluto fare qualcosa ma non ne è stato in grado. E' "troppo vecchio per la parte" (“too old to play the part”) (pag. 63).
“40 years I wandered / in your desert / a moment of your beauty / and 40 years of breathlessness / to balance it / 40 years of remorse / 40 years of disappointment” (pag. 82).
A un certo punto "non importa cara / non importa davvero" (“It doesn’t matter darling / it really doesn’t matter”) (pag. 60).

Ma, come nei sonetti classici, ecco il turning point, il punto di svolta: "Tutti noi / musicisti, il pubblico / eravamo dissolti in gratitudine." (“All of us / the musicians, the audience, / were dissolved in gratitude.”) (pag. 13).
La gratitudine è l'emozione per l'uomo che gli ha insegnato gli accordi base a Montréal quando era giovane, e gli ha cambiato la vita.
La rassegnazione non è la fine, è una fase transitoria - obbligatoria - verso la gratitudine, dove dovremmo soltanto "ascoltare il colibrì [...] ascoltare la farfalla [...] ascoltare la mente di Dio / colui che non ha bisogno di essere (“listen to the hummingbird […] listen to the butterfly […] listen to the mind of God / which doesn’t need to be.”) (pag. 65). Non c'è bisogno di definire Dio, di classificarlo o attribuirgli caratteristiche o poteri. Soltanto ascoltare e accettare quello che sta arrivando, senza affrettarsi, senza aspettarsi nulla, senza sperare niente. "Sono pronto, mio Signore" (“I’m ready, my Lord”) (pag. 143), "Venga la guarigione del corpo / Venga la guarigione della mente" (“Come healing of the body / Come healing of the mind”) (pag. 116), "Non abbiamo bisogno di andare oltre." (“We don’t need to go any deeper.”) (pag. 83).
E forse siamo in grado di capirlo solo alla fine.

Nel frattempo, io devo ancora capire perché io lo abbia ascoltato prima e, cosa più importante, devo scoprire quale "potere mi è stato dato / per mandare onde di emozione / attraverso il mondo [...]" (“power was given me / to send waves of emotion / through the world […]”) (pag. 13). Leonard Cohen non voleva ammetterlo, ma lui l'aveva sicuramente trovato.

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